Skip to main content

Il Fiscal Cliff visto da Krugman e Zingales

Il dubbio si insinua quasi fosse un venticello rossiniano e conquista i guru economici di scuole diverse come il post-keynesiano Paul Krugman e il post-friedmaniano Luigi Zingales: e se il fiscal cliff fosse in realtà un fiscal bluff? Intendiamoci, il burrone c´è, eccome, ma è politico non economico-finanziario. Al contrario di quel che scrivono articoli catastrofistici sulla stampa italiana (si distingue in particolare, la Repubblica).

Il presidente Obama ha cominciato i negoziati con i repubblicani ed entrambi fanno il viso dell´arme. Sui mercati c´è la convinzione che un accordo si troverà, magari nella notte di S. Silvestro, come succede alle maratone dell´Unione europea.

In caso contrario che cosa succede? “Niente, non succede niente” dice papale papale Krug­man. E Zingales sull´Espresso la pensa allo stesso modo, almeno nel breve periodo. Il debito pubblico americano è pari al 69% del prodotto lordo (nonostante una comune convinzione alimentata dagli strilli di giornale), insomma sta poco sopra i parametri di Maastricht (quello medio europeo è più alto di trenta punti) e arriverà a quota cento nel…. 2021, sì, avete capito bene, tra nove anni, cioè tra due mandati presidenziali. Saranno cavoli del prossimo (a)inquilino (a) alla Casa Bianca. Solo a quel punto il debito pubblico comincerà a penalizzare la crescita, stando agli studi di Kenneth Rogoff e Carmen Reinhart. In Europa sta già accadendo, in Italia è cominciato almeno dieci anni fa.

Un problema c´è e non è di poco conto. Se il Congresso non cambia la legge, l´anno prossimo aumentano automaticamente le imposte personali sul reddito fino al 19,6% e vengono tagliate le spese dello 0,25%. Dunque, si crea una contrazione del reddito disponibile e della domanda che può portare in recessione. Ironicamente, Zingales parla di “fiscal compact o austerità tedesca”. Ma siamo sicuri che se si riduce il disavanzo federale dal 6,5% attuale al 4% tra un anno (come avverrebbe senza accordo) sarà sufficiente a invertire il ciclo economico? Per rispondere bisogna guardare come sta andando l´economia reale.

Ben più preoccupante è il politi­al cliff. La trattativa di questi giorni è la prima e più grande prova per il sec­ondo mandato di Obama. Un fallimento getta un´ombra minacciosa su tutto il resto. In questo Krugman ha torto, non vede i limiti della vittoria obamiana e soprat­tutto sottovaluta che il presidente può diventare una lame duci fin da adesso. Di qui alle elezioni di mid term tra due anni, c´è il rischio di un Congresso diviso (i repubblicani mantengono una maggioranza netta alla Camera) e paralizzato, in grado di bloccare ogni decisione importante, quanto meno in politica economica.   Un´America che scivola nella palude della ingovernabilità è destinata a gettare un´onda di incertezza, di instabilità, di paura persino sui mercati finanziari che, non possiamo mai dimenticarlo, hanno in Wall Street la testa e la pancia. Da qui possono arrivare tensioni che dalla borsa si ripercuotono sulla economia reale, deprimendo la borsa, facendo salire il costo del credito, raggelando la domanda per ragioni precauzionali. Curioso che proprio un keynesiano come Krugman trascuri il ruolo delle aspettative che sono l´anello di congiunzione tra politica ed economia. E adesso a Washington stanno diventando tutti francesi: politique d´abord.

Sintesi di un articolo più ampio che si può leggere qui


×

Iscriviti alla newsletter