Nei giorni scorsi il segretario del Partito democratico (e futuro premier), Pierluigi Bersani, ha avuto un giro di colloqui a Bruxelles con alti funzionari della Ue, durante i quali ha tentato di delineare la posizione del governo italiano in pectore delle prossime settimane. Dal resoconto fatto dal Financial Times emerge che Bersani avrebbe proposto una sorta di scambio, basato su quella che esponenti del Pd definiscono la “regola aurea”, cioè l’esclusione degli investimenti dal computo delle metriche di deficit. Se le cose stanno in questi termini, abbiamo il timore che si tratti di una pia illusione del leader italiano, oltre ad essere la strada sbagliata per definizione per rilanciare la crescita.
Bersani, secondo il Ft, sarebbe pronto a negoziare un do ut des in cui, in cambio del rafforzamento del meccanismo di disciplina fiscale di monitoraggio dei bilanci nazionali, con creazione di un organismo watchdog e non di un “commissario valutario” (come invece richiesto da Wolfgang Schaeuble), otterrebbe in contropartita la verosimile esclusione dal calcolo del deficit della componente genericamente riferita agli investimenti infrastrutturali.
La motivazione di questo approccio è quella di liberare spazio per investimenti pubblici a livello nazionale (e non comunitario), al contempo aprendo i libri contabili nazionali alla supervisione europea. E’ un approccio intellettualmente onesto, ma presta il fianco a numerose obiezioni di merito e di metodo. Servirebbe, ad esempio, una supervisione esterna molto invasiva, per evitare che i paesi finiscano col classificare come spesa per investimenti quella che è spesa corrente. La gestione dei crediti d’imposta sarebbe la maggiore sospettata di irregolarità (a livello ditax expenditures), ed il rischio di finire in estenuanti contenziosi con Bruxelles sarebbe pressoché certezza. Il tutto ammesso e non concesso che i tedeschi accettino una simile impostazione.
Inoltre, evidenti criticità emergerebbero nella scelta degli investimenti da privilegiare. Meglio sarebbe orientarsi su fondi comunitari, potenziando il ruolo della Banca Europea degli Investimenti anche in funzione di contrasto al credit crunch. Abbiamo comunque il timore che si tratterebbe del libro dei sogni. L’alternativa, a questo punto, resta quella di rinegoziare il percorso di consolidamento fiscale, sospendendo le ulteriori strette fiscali che dovessero rendersi “necessarie” in ipotesi di sfondamento del rapporto deficit-Pil, anche su base strutturale. Bersani persegua questa direttrice, e non misure illusorie sugli investimenti pubblici che già in passato sono finite contro il muro tedesco.
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