Pubblichiamo l’editoriale uscito oggi sul quotidiano Il Foglio
L’attesa di Monti non attira voti. I loro personalismi anche meno. Nella convulsa stagione pre-elettorale dominata dal successo di un centrosinistra rifondato dalle primarie e dalle convulsioni del centrodestra, le varie formazioni centriste appaiono ancora in attesa: di non si sa che cosa. Il partito che appare più rilevante, l’Udc di Pier Ferdinando Casini, ha annunciato tre o quattro ipotesi di aggregazione, tutte rimaste sulla carta. Mentre Pier Luigi Bersani, nonostante il veto sussurrato da Nichi Vendola, insiste in profferte di alleanza post voto che vedrebbero i centristi in una posizione caudataria, e Casini non è in grado di affermare un’alternativa credibile all’egemonismo del Pd. E’ difficile per i moderati centristi trovare una leadership in grado di aggregare e includere.
L’attesa di una candidatura, che sarebbe comunque indiretta, di Mario Monti, è servita a prendere tempo – e dopo la sortita del premier ieri alla riunione brussellese del Ppe sembra un’ipotesi rafforzata – ma finora non è servita ai centristi “montisti” a raccogliere consensi (i sondaggi piangono) e ora il tempo è davvero agli sgoccioli. Le ostilità o le concorrenze personali tra i leader della galassia, un esempio eloquente il veto di Luca Cordero di Montezemolo a Gianfranco Fini, sembrano ostacolare persino l’intesa di minima su un cartello elettorale che eviti ai vari partner ipotetici di fare la stessa fine di Fausto Bertinotti. I centristi si considerano l’ago della bilancia, ma dimenticano che sono i piatti a muovere l’ago e non viceversa. Per andare oltre questa ottica un po’ misera, ci vorrebbero una visione e una leadership, non altezzose esclusioni che segnalano una sorta di complesso di superiorità del tutto infondato.