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Cari ex An, occhio a non passare dalla Fiamma al fiammifero

Il rischio è quello che la “Fiamma” si trasformi in un fiammifero. Le annunciate scissioni dal Pdl degli ex An potrebbero di fatto moltiplicare le sigle a destra del partito di Berlusconi, aumentando il rischio dell’irrilevanza.

La svolta tatarelliana del Msi

La destra postmissina diventa “di governo” con l’intuizione di Giuseppe Tatarella nel 1994: una alleanza ariosa di social nazionali, liberali, cattolici e società civile, per guidare il paese, rappresentando la maggioranza degli italiani. Intorno a questo assioma si è mossa la strategia di An, poi confluita nel Pdl. Dopo vent’anni di successi elettorali e fallimenti culturali, le crepe interne si allargano. Il matrimonio con Forza Italia non è mai decollato, i finiani sono andati al centro, e il patrimonio di idee, sedi e organizzazione della destra può disperdersi in mille rivoli.

Il limite del leaderismo

Alla crescita dei consensi post 1994 non è corrisposta una organizzazione interna al partito più partecipata. Il verticismo almirantiano si è accresciuto statutariamente nella gestione finiana di An: convinti che la salvezza fosse nel leaderismo, i postfascisti hanno perso per strada il massimo riferimento (il Segretario o il Presidente), smarrito l’orientamento e dismesso strutture che ne avevano permesso la sopravvivenza negli anni duri dell’arco costituzionale.

Verso le Politiche

La prossimità dell’appuntamento elettorale non consente la definizione di un progetto organico per quella parte di italiani che si riconoscono nella visione nazionale e sociale incarnata dalla destra. Grande è il disordine sotto il cielo, ma il superamento di questa crisi dipenderà dalla capacità dei dirigenti rimasti “a destra” di dare un orizzonte che superi la personalizzazione del partito. Le incognite sono numerose. Rilevante sarà anche la possibilità di disorientamento nell’elettorato, con Gianni Alemanno (ex leader della destra sociale) su posizioni filo montiane, Altero Matteoli (già leader di Nuova Alleanza) con Silvio Berlusconi e la divisione dei Dioscuri tatarelliani Maurizio Gasparri (resterà nel Pdl) e Ignazio La Russa (Centrodestra nazionale).

Un nuovo partito?

Il movimento #senzapaura di Giorgia Meloni e Guido Crosetto, rappresenta una parte di classe dirigente dinamica e giovane, cresciuta costruendo territorialmente il proprio consenso; Ignazio La Russa con il “Centrodestra nazionale” riunisce una parte di ex An lombarda e siciliana; Francesco Storace ha aggregato un piccolo zoccolo duro con la Destra. Insieme, raccordandosi con il mondo delle associazioni culturali e delle fondazioni e con un investimento nella web-politica, in un contenitore senza tentazioni nostalgiche, potrebbero conservare una rappresentanza parlamentare, a condizione di scegliere candidati in grado di restituire fiducia in una soggettività partitica di destra. Del resto, come scrive Piero Ignazi in “Forza senza legittimità. Il vicolo cieco dei partiti” (Laterza), il limite di tutti i partiti (e quindi anche della destra) nella Seconda Repubblica è stato questo: “non incarnano più quegli ideali di passione e dedizione, di impegno e convinzioni che essi stessi sbandieravano come connaturati alla loro esistenza. Hanno perso quella patina mitica che li elevava al di sopra di ogni sospetto e ora mostrano tutte le rughe di ogni organizzazione complessa, piena di interessi materiali e personali”. La sopravvivenza della destra passa dunque dall’affermazione di una diversità: antropologica, politica e organizzativa.



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