Trenta anni fa, all´alba del socialismo di mercato in Cina, Deng Xiaoping era solito ripetere la famosa frase “Gatto bianco o gatto nero, l´importante è che prenda il topo”. La frase è riportabile all´attualità Italiana dove il topo è, come concorda una larga fetta di concittadini, l´insieme di tutti quei fattori che hanno determinato nel nostro Paese quel gap di modernità e di produttività consolidatosi durante la fallimentare esperienza della Seconda Repubblica.
Il punto è che le capacità venatorie dei navigati felini della politica Italiana sono estremamente limitate. Il gatto del Pd, dopo l´esito delle primarie che hanno sancito il mancato rinnovamento della leadership del Partito, affidata alla coppia Bersani-Vendola che tanto ricorda quella Prodi-Bertinotti del 2006, è interessato a prendere ben altri topi rispetto a quello del rinnovamento dell´Italia, confuso tra le lenzuolate di liberalizzazioni promesse dal micio piacentino e le nostalgie marxiste di quello pugliese. E di solito un gatto che non sa dove andare, non rappresenta una particolare minaccia per il topo.
Poi c´è il gattone Berlusconi. Anche lui confuso, logorato da 20 anni in cui ha concentrato le proprie sortite piú che sui topi che frenano la crescita del Paese, sulla dispensa dei padroni di casa in cui trovare quanto necessario per tutelare i propri interessi personali ed aziendali. Un gatto che ha tradito la fiducia di milioni di padroni di casa che lo hanno sostenuto e votato (compreso, lo ammetto, per una certa fase chi Vi scrive) spesso turandosi il naso e chiudendo gli occhi e le orecchie, sia per poca fiducia nelle capacità e negli obiettivi del felino di turno del variopinto e confuso schieramento di sinistra che sperando che, a un certo punto, gli interessi del micio Silvio dalla dispensa si spostassero sul roditore, rispettando quelle che erano le promesse della discesa in campo del 1994. Ma ormai è chiaro che il topo non riveste alcun interesse per il signore di Arcore, la cui azione politica ricorda quelle combinazioni di autoreferenzialismo e disinteresse per gli interessi generali degne di un tiranno assoluto di un regime al tramonto. Una sorta di Saddam, che prima di ritirarsi dal Kuwait, dà fuoco ai pozzi.
Certo ci sono i micetti della galassia centrista del Parlamento. Che dopo avere fatto le fusa per due decenni al felino al potere di turno, ottenendo in cambio ruoli istituzionali e ministeri, pretendono che per sembrare nuovi basti dare una spazzolata all´ormai logora pelliccia. C´è anche il gatto Grillo che miagola come pochi ma purtroppo, lui e i suoi accoliti, non ha mai visto un topo e rischia di passare il tempo a devastare le tende della casa già provata dalle sortite dei precedenti cacciatori.
A questo punto è evidente che, per prendere il famoso topo, l´unica speranza sia una coalizione di persone nuove e capaci che riportino a Palazzo Chigi, stavolta non da tecnico ma da politico, Mario Monti. Il professor Monti oggi è l´unico personaggio in Italia che è in possesso dell´autorevolezza internazionale e della necessaria esperienza per avviare una seria caccia al topo. Il suo governo, che vale la pena di ricordarlo, era basato su un mandato tecnico e non politico, ha egregiamente svolto il ruolo che deve essere proprio di un commissario che interviene in una crisi aziendale, vale a dire curare le emergenze e garantire che l´azienda sia in grado di mantenere la continuità operativa nel rispetto degli interessi di dipendenti, clienti, fornitori e finanziatori. Adesso è necessario fornire al professor Monti quel supporto politico necessario per avviare una reale ed incisiva stagione di riforme in grado di cambiare il nostro Paese, rivoltando come un calzino quelle sacche di improduttività che, decenni di mala politica, hanno tollerato e lasciato prosperare.
Con le sue dimissioni il Professor Monti si trova davanti a un bivio. Da un lato potrebbe decidere di lasciare la scena e, in quel caso, sicuramente raccoglierebbe la gratitudine per avere fermato, perlomeno momentaneamente, viste le caratteristiche dei personaggi che rischiano di guidare il prossimo governo, la pericolosa discesa verso scenari greci o argentini che ci avrebbe portato a quella perdita di sovranità derivante da un commissariamento della nostra politica economica da parte degli organismi dell´Unione Europea.
Dall´altro potrebbe invece decidere di rimanere e raccogliere la sfida di cambiare l´Italia nella direzione della modernizzazione necessaria per valorizzare le tante risorse presenti nel nostro Paese, raccogliendo in quel caso una gratitudine che andrebbe ben oltre questa generazione di Italiani ma coinvolgerebbe le successive. Nel secondo caso potrà contare sul sostegno deciso e leale dei tanti italiani che, traditi dai gatti della nostra politica e non rassegnati a vivere la Storia da spettatori e da sudditi, sanno che una volta tolto di torno il famoso topo, nulla impedirà al nostro Paese di tornare a quel ruolo di protagonista che per storia, tradizione, cultura e capacità della sua gente gli compete.
Professore, dia agli Italiani la speranza di vedere avverate le loro speranze. Perché stavolta o si prende il topo oppure non rimane che lasciare la casa.