Sembrano passati anni da quando Giorgio Napolitano difendeva il “suo” capo del governo tecnico Mario Monti, “incandidabile perché senatore a vita”. Dallo strappo del Pdl il 7 dicembre scorso in Parlamento e il precipitare degli eventi, il forcing nazionale e internazionale sulla candidabilità del Professore è diventato così forte che il capo dello Stato si è dovuto arrendere all’evidenza: la stagione del Monti tecnico sta lasciando spazio a quella del Monti politico. Un passaggio che non può non portare a “un cambio di segno – come ha scritto Stefano Folli oggi nel suo punto sul Sole 24 Ore – nella relazione speciale Napolitano-Monti”.
Ed è lo stesso Napolitano a descrivere come cambierà, in una parte del suo discorso di auguri ieri alle alte cariche dello Stato: “Non c’è chi non veda come si stia ora per tornare a una naturale riassunzione da parte delle forze politiche del proprio ruolo, sulla base del consenso che gli elettori accorderanno a ciascuna di esse. E sarà quella la base su cui poggeranno anche le valutazioni del capo dello Stato”.
Ovvero: fine della tecnica, ritorno alla politica. Proprio su quest’ultima, il presidente della Repubblica eserciterà la sua funzione di controllo e garanzia, ancora una volta, fino alla fine imminente del suo mandato: “Mio malgrado toccherà a me dare l’incarico al nuovo governo”, ha puntualizzato. E tra arbitro della corsa e chi ne prenderà molto probabilmente parte, non può non esserci una certa distanza e un raffreddamento di quel rapporto privilegiato con un premier considerato fino a ieri “super partes”.
L’ingresso “inter partes” di Monti cambia non solo i rapporti del Professore con il capo dello Stato ma tutti i fragili equilibri nei partiti. Quello che appare vincitore sulla carta, il Partito democratico, dovrà ricalibrare la sua strategia elettorale. Come fa notare il giornalista di lungo corso e blogger Peppino Caldarola, l’imperturbabilità di Pierluigi Bersani alla notizia non funziona: “Ci sarà la necessità di svestire dell’abito terzista il premier attaccandolo anche personalmente, più o meno con gli argomenti di D’Alema (che aveva definito “immorale” la sua discesa in campo, in un’intervista al Corriere della Sera, ndr), e poi si tratterà di mettere in discussione la visione poco compassionevole e riformista della sua politica per come concretamente l’abbiamo conosciuta. Bersani dovrebbe paradossalmente accendere i toni, fare cioè l’esatto contrario di quel dovrebbe fare se il suo competitor fosse solo Berlusconi”. E se si alza la voce in campagna elettorale, lo farà anche il sempre pacato Professore? Forse sarà anche la sua proverbiale sobrietà a cambiare, insieme a tutto il resto.