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La Giustizia nel dimenticatoio della campagna elettorale

Quanto più si avvicinano le elezioni, tanto meno si sente parlare di programmi, mentre il dibattito si sposta su alleanze elettorali e leadership. Tra i temi apparentemente dimenticati in queste settimane vi è, in particolare, la giustizia che in passato aveva infiammato il dibattito politico e riempito le pagine dei quotidiani. La stessa Agenda Monti dedica solo pochi cenni a questi temi, per lo più in materia penale, salvo un generico richiamo alla disciplina dei conflitti d’interesse.

Per anni un’ossessiva campagna mediatica aveva fatto credere che le riforme prioritarie per il Paese fossero la separazione delle carriere dei giudici, la disciplina delle intercettazioni e l’immunità delle principali cariche dello Stato. Alla gran parte degli italiani, invece, quando si parla di giustizia, il pensiero va alla lentezza dei procedimenti, all’inefficienza dei tribunali, alla prescrizione che alla fine salva sempre i colpevoli, agli eccessi della carcerazione preventiva, alla giustizia tributaria che troppo spesso interviene dopo l’esecuzione forzata che ha messo in ginocchio il contribuente, e alla mancata specializzazione dei giudici.

È a queste legittime preoccupazioni, che i cittadini confrontano tutti i giorni, che si rivolge il programma sulla giustizia di Fare per Fermare il Declino. Pur consapevoli che altre riforme di più ampio respiro saranno necessarie nel medio termine, abbiamo dato la priorità a proposte pragmatiche, realizzabili in tempi ragionevoli senza dover mettere mano alla Costituzione, che incidano sulla vita di tutti e favoriscano la crescita. Mi limiterò a richiamare quelle principali.

Il campo prioritario sul quale occorre urgentemente intervenire è quello della giustizia civile. I procedimenti in Italia hanno una durata doppia rispetto alla media europea secondo il Consiglio d’Europa. Occorre dunque, innanzitutto, disincentivare le cause pretestuose (si pensi, ad esempio, che il 52% delle cause per RC Auto nel 2010 era in Campania), prevedendo una piena condanna per le spese processuali sostenute dalla controparte e le spese effettive sostenute dallo Stato per celebrare il processo (nonostante i recenti aumenti del contributo unificato, in Italia il costo a carico delle parti è pari al 10,7% mentre la media europea è il 28,3%).

È poi necessario introdurre criteri oggettivi, e non discrezionali, per la condanna di chi abbia agito o resistito in giudizio con mala fede o colpa grave e innalzare il tasso d’interesse legale al di sopra dei tassi di mercato. Potrebbe infine rivelarsi utile promuovere il ricorso a polizze assicurative di tutela legale (che coprano anche i costi del contenzioso). Non basta, tuttavia, intervenire con soluzioni sul solo piano processuale: occorre, anche agire tempestivamente sul piano del diritto sostanziale per prevenire le cause seriali, spesso per modici importi, in materia bancaria, assicurativa, previdenziale o per la responsabilità di enti pubblici che quotidianamente inondano i tribunali (si pensi alle migliaia di controversie promosse dai precari della scuola, a quelle sugli interessi bancari, a quelle sul risarcimento per trasfusione infetta del sangue, ecc.). Per esse potrebbero ben trovarsi delle soluzioni sul piano legislativo o prefigurarsi una corsia preferenziale alla Cassazione affinché stabilisca il principio di diritto applicabile a tutti i casi analoghi. Al tempo stesso occorre smaltire le cause in corso attraverso incentivi alle parti e ai consulenti al ricorso alla mediazione o transazione diretta. Per trasparenza, i dati sull’arretrato per ogni tribunale dovrebbero essere a disposizione di tutti.

Tali interventi, tuttavia, non serviranno se non saranno accompagnati da riforme strutturali che evitino il reiterarsi del fenomeno. Oggi i giudici italiani sono assai meno della media europea e operano per lo più senza assistenza e con poche risorse (anche se la spesa pubblica per la giustizia rimane elevata). A tal fine sarebbe importante promuovere una riorganizzazione della struttura degli uffici giudiziari, anche con l’inserimento di figure manageriali, valorizzando di più la performance dei giudici in termini di efficienza.

Per migliorare l’offerta di giustizia nel Paese si deve però agire non solo sul piano quantitativo (più sentenze), ma anche su quello qualitativo (sentenze migliori): data la sempre maggiore complessità dei diversi settori del diritto, proponiamo di accrescere la specializzazione dei giudici, generalizzando la prassi delle sezioni dedite al diritto commerciale, del lavoro, fallimentare, di famiglia, delle locazioni, e della proprietà industriale e intellettuale. Dopotutto, nessuno andrebbe a farsi difendere in un giudizio penale da un avvocato che fino all’altro giorno si occupava solo di diritto di famiglia; perché lo stesso non deve valere per i giudici?

Analoghi interventi sono necessari per la giustizia penale per accelerare i processi e limitare la carcerazione preventiva, attraverso sistemi di controllo (es. braccialetto elettronico) già in vigore in altri paesi. La priorità è però assicurare certezza ed effettività della pena riformando in profondità la disciplina della prescrizione e della concessione dei benefici ai carcerati. Sul piano del diritto sostanziale, sono poi condivisibili i richiami contenuti nell’Agenda Monti al ripristino della disciplina sul falso in bilancio, a una più incisiva disciplina della corruzione e alla regolamentazione delle intercettazioni.

In tema di giustizia tributaria, il problema principale è la preparazione dei giudici tributari che oggi sono chiamati a decidere questioni giuridiche sempre più complesse e vitali per i contribuenti. Com’è noto, essi non provengono dai ranghi della magistratura e ciò, tra l’altro, fa sì che i giudici della sezione tributaria della Cassazione, per definizione, abbiano percorso la propria carriera in settori del diritto affatto diversi. E’ tempo di rimettere mano alla composizione delle commissioni tributarie, per accrescerne la competenza.

Per sgravare la giustizia amministrativa, infine, occorre creare incentivi per le amministrazioni per una più rapida definizione non contenziosa delle questioni su cui sono chiamate a decidere. Troppo spesso gli amministratori pubblici preferiscono finire in giudizio temendo di assumersi responsabilità.

La nostra sfida è di riformare la macchina dello Stato per fare dell’Italia un paese civile dove la giustizia sia rapida, efficiente, equa e al servizio della gente. Una classifica della Banca Mondiale colloca l’Italia al 160° posto, sui 185 paesi analizzati, per efficienza della giustizia civile tenendo in considerazione i tempi (1.210 giorni), i costi (29,9% del valore in lite) e il numero delle diverse procedure (41) di un processo per il recupero di un credito commerciale. Per non dire poi del tasso di corruzione che ci vede al 56° posto. Una giustizia inefficiente produce effetti devastanti per il paese: attira meno investimenti, soprattutto dall’estero; fa sì che il mercato del credito e della finanza siano poco sviluppati e vi siano asimmetrie nei tassi d’interesse tra diverse regioni (più durano i processi più sono elevati i tassi); causa rigidità nel mercato del lavoro; limita la concorrenza nei settori produttivi; provoca distorsioni nella struttura delle imprese; ingessa il mercato immobiliare. Forse oggi, la giustizia muove pochi voti, ma è una cosa troppo seria per essere relegata nel dimenticatoio della campagna elettorale.

Alberto Saravalle è professore di Diritto dell’Unione Europea nell’Università di Padova, presidente di uno Studio Legale a Milano e coordinatore del settore Giustizia di Fare per Fermare il Declino


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