Paradisi fiscali? Google ne sa qualcosa. Secondo quanto risulta da alcuni file che sono destinati a ravvivare il dibattito sulla gestione contabile e fiscale del colosso di Mountain View, la società ha quasi raddoppiato i ricavi portati alle Bermuda negli scorsi tre anni toccando la quota di 9,8 miliardi di dollari.
L’aliquota fiscale del 3,2% pagata oltreoceano, secondo il Financial Times, ha messo la società al centro delle proteste sulle multinazionali che portano all’estero i profitti per abbassare l’ammontare delle tasse da versare allo Stato in cui lavorano. E Google è accusata anche in Francia, Gran Bretagna e Australia per il suo uso di strutture complesse che fanno fuoriuscire i profitti verso l’Irlanda e le Bermuda.
Il viaggio dei ricavi di Google
L’aumento dei redditi spostati verso l’arcipelago americano, che non ha una tassa sul reddito delle società, è stata scoperta grazie alla documentazione di una filiale olandese. Bloomberg ha calcolato che Google ha eluso 2 miliardi di dollari di tasse lo scorso anno, dopo che la sua aliquota fiscale effettiva è passata dal 28% del 2008 al 21% del 2011. Il tasso medio in Usa è invece del 39%.
Google incassa in sostanza tutti i suoi ricavi stranieri in Irlanda, secondo il suo report annuale, ma mantiene la sua proprietà intellettuale nelle Bermuda. La società usa una doppia struttura irlandese – che sfrutta differenze tra i codici fiscali tra Usa e Irlanda – per spostare i profitti da Dublino alle Bermuda.
Fino a poco tempo fa, Google faceva passare i ricavi per i Paesi Bassi per evitare il pagamento delle tasse, ma questo “sandwich olandese”, come lo definisce il Financial Times, non è più necessario dopo la riforma irlandese del fisco.
I reinvestimenti esteri di Mountain View
Sebbene gli Stati Uniti impongano tasse sui profitti internazionali rimpatriati, alla società non è richiesto fare appositi accantonamenti sui suoi guadagni all’estero perché Google dichiara di volerli “reinvestire permanentemente” fuori dal territorio Usa.
Le accuse a Google
A fine 2011, i guadagni cumulati scampati alle tasse Usa sono stati 24,8 miliardi di dollari. Circa la metà della liquidità di Google è classificata come fondi offshore, nonostante la maggior parte dei ricavi siano nelle casse di banche americane o investiti in altri asset statunitensi, secondo quanto risulta alla Commissione permanente di investigazioni del Senato Usa.
Ma le accuse arrivano anche da una commissione parlamentare britannica che, il mese scorso, riferendosi alla strategia fiscale di Google, ha parlato di elusione fiscale “immorale”. Sempre il mese scorso, anche un ministro australiano ha attaccato Google per lo sfruttamento delle differenze legali sulla tassazione attraverso l’uso di strutture complesse per abbassare quanto possibile l’ammontare delle tasse da versare.