Non solo Taranto, non solo Ilva. Allargando l’obiettivo dal focus centrale di questi giorni, il quadro complessivo della siderurgia italiana appare molto vicino a un cumulo di macerie.
Secondo Federacciai, la struttura industriale nazionale utilizza due terzi della produzione complessiva dell’Ilva, per circa 5 milioni di tonnellate; se venissero a mancare, le imprese sarebbero costrette ad approvvigionarsi all’estero, con costi extra per un totale tra i 2 e i 5 miliardi di euro.
Ma l’Ilva, appunto, è solo la parte emersa di un problema piu’ complesso e grave, che riguarda la siderurgia nazionale nel suo complesso. Tanto per fare esempi concreti, basta guardare a Piombino, l’altro grande polo siderurgico, passato dai Lucchini ai russi della Severstal, che l’hanno spolpata, riempita di debiti, e abbandonata alle banche creditrici. Un eventuale fallimento di Piombino trascinerebbe con sé anche Trieste, dove hanno sede altri impianti dello stesso gruppo. Quanto a Terni, la cessione della Thyssen Krupp alla multinazionale finlandese è stata bloccata dall’antitrust europea, che vede il rischio di una posizione dominante e che ha imposto una vendita frazionata tra più soggetti. Ma questo significherebbe la fine della peculiarità di Terni e dei suoi acciai speciali, la cui produzione e’ possibile proprio grazie all’integrazione dello stabilimento.
Consapevoli della gravità del quadro, i sindacati, e in particolare la Cgil, hanno chiesto al governo la convocazione di quelli che sono stati definiti ‘’gli Stati generali’’ della siderurgia. L’obiettivo è mettere attorno a un tavolo tutti gli attori della partita: sindacati, rappresentanze imprenditoriali come Confindustria e Federacciai, ma anche le stesse filiere di imprese legate al settore, per avviare una analisi della situazione e individuare le soluzioni.
Gli strumenti e le sedi adatte, volendo, ci sarebbero pure. O meglio, c’erano. Presso il ministero dello Sviluppo, per esempio, era stato istituito l’osservatorio sulla siderurgia, ma non si riunisce da due anni ed e’ stato, pertanto, soppresso. Un secondo organismo, l’Aces, in pratica la versione italiana della piattaforma tecnologica europea, nel 2007 ha prodotto un dossier di alcune centinaia di pagine, contenente le linee guida per lo sviluppo dell’acciaio sostenibile e competitivo, ma è stata anche la sola cosa che ha prodotto.