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La nuova corsa all’oro

Secondo il World Gold Council, la domanda globale di oro nel terzo trimestre del 2012 è stata di 1.084,6 tonnellate, ancora superiore alla media trimestrale degli ultimi cinque anni (984,7 tonnellate). Il mercato dell’oro, in questo periodo, è trainato dal trend ascendente dell’India, salita del 9% rispetto al terzo trimestre del 2011 grazie ad un incremento nella domanda di gioielleria (+7%) e di investimenti (+12%) nel metallo pregiato. Analoga spinta è stata garantita dalle banche centrali, le quali complessivamente hanno acquistato 97,6 tonnellate nel trimestre (pari al 9% per l’intero anno).

Entrambi i fattori di crescita sono la conferma della proprietà di riserva di valore – attribuita all’oro dagli operatori di mercato -, a fronte della crescente incertezza economica, finanziaria, politica e sociale nel mondo.  In particolare, delle due variabili, le banche centrali (dell’Est e dell’Ovest) del mondo stanno accentuando la loro “corsa” ad accumulare riserve di metalli preziosi, in particolare oro. Secondo le stime “ufficiali” dell’International financial statistics del Fondo monetario internazionale, nell’ottobre 2012, gli Stati Uniti erano i principali detentori al mondo di riserve di oro con 8.133,5 tonnellate (pari al 75,4% delle riserve complessive). Ma il dato più sconcertante riguardava la Cina, sesto maggiore detentore di riserve di oro, con 1.054,1 tonnellate, pari appena all’1,7% delle riserve complessive. Il dato cinese conferma quanto già immaginabile a fronte di questo tipo di statistiche. Per chi (come noi) ne conosce i meccanismi di costruzione, lo scetticismo è assoluto. Da un lato, infatti, le riserve statunitensi non sono mai state certificate in maniera indipendente fin dalla presidenza Eisenhower negli anni ’50, dall’altro, in Cina il valore “dichiarato” delle riserve in oro ufficiali, dopo essere rimasto costante (pari a 600 tonnellate) dal 2003 al 2008, all’improvviso nel 2009 è schizzato a più di 1.000 tonnellate, rendendo l’intero quadro statistico assolutamente inconsistente.

Il secondo Paese detentore di oro al mondo, dopo gli Stati Uniti, è la Germania (3.395,5 tonnellate). Proprio tra Washington e Berlino è in atto un contenzioso che, a prima vista, potrebbe sembrare paradossale, ma che può suggerire molteplici considerazioni. Circa i due terzi delle riserve in oro della Bundesbank (del valore approssimativamente di 144 miliardi di euro) sono detenute all’estero. Per decenni, nel corso della Guerra Fredda, Berlino ha immagazzinato parte della sua riserva in oro fuori dai suoi confini. La decisione trovava origine nel sistema di Bretton Woods. Nel periodo post-bellico, buona parte del surplus commerciale della Germania veniva convertito in riserve di oro della Banca Centrale. Per evitare lo spostamento fisico dell’oro dai Paesi in deficit commerciale verso la Germania, e soprattutto per preoccupazioni legate alla sicurezza del metallo prezioso a fronte della minaccia sovietica, Bonn si accordò con Washington, Londra e Parigi affinché la proprietà di centinaia di lingotti d’oro fosse trasferita ai tedeschi, lasciando fisicamente l’oro dove era stato fino a quel momento. Oggi, le riserve in oro della Bundesbank sono detenute solo per il 31% nella sede di Francoforte. Presso la Federal Reserve Bank di New York sono, invece, presenti 1.536 tonnellate (pari al 45%), presso la Bank of England di Londra 450 tonnellate (il 13%) e presso la Banque de France di Parigi 374 tonnellate (pari all’11%). Quanto detto ha rappresentato una mera curiosità storica fino al 22 ottobre scorso, quando la Corte dei Conti federale tedesca (Bundesrechnungshof) ha richiesto alla Bundesbank di certificare le proprie riserve di oro, in particolare quelle detenute all’estero, mancando una verifica sia dell’autenticità sia del peso effettivo. La Corte ha avanzato un rilievo sulla pratica seguita finora del basarsi su validazioni scritte rilasciate dalle banche centrali estere custodi dell’oro.

La richiesta dell’Organo federale tedesco non sarebbe stata particolarmente gradita dalla Bundesbank, in quanto implicherebbe un negoziato con Federal Reserve, Bank of England e Banque de France, con rischi di contenziosi in un momento congiunturale particolarmente delicato nel quale, al contrario, è richiesto il pieno coordinamento delle politiche economiche. Pur confermando la piena fiducia nell’integrità e nell’indipendenza dei suoi custodi, la Bundesbank avrebbe, stranamente, ritenuto necessario adottare nuove misure a garanzia delle proprie riserve anche considerando un trasferimento fisico di parte del proprio oro. In tale senso si porrebbe l’intento della Bundesbank di pianificare un rientro di 150 tonnellate (50 all’anno) dalla Federal Reserve ripartiti nei prossimi tre anni. Questo si aggiungerebbe ad un ritorno già operato dalla Bundesbank di 940 tonnellate dalla Bank of England, riducendo le sue riserve a Londra da 1.440 (nel 2000) a 500 (nel 2001) ufficialmente “a causa degli eccessivi costi di deposito” . In questa sede intendiamo tralasciare aspetti meramente finanziari per giustificare questa corsa all’oro (sarebbe troppo facile…). La corsa all’oro è, infatti, di sicuro rilievo nella finanza “ombra” poiché il deposito di oro in Security House (o in banche) può consentire il rilascio di BG (Banking Guarantees) da parte di queste ultime, a partire dalle quali ottenere operazioni di rifinanziamento multiple con rendimenti non indifferenti. Preferiamo, invece, ipotizzare un aspetto più recondito ma che, in questa particolare congiuntura storica, non deve essere accantonato.

Se l’attuale raccolta di oro servisse all’industria nucleare, verosimilmente impiegata non per scopi pacifici? L’oro, infatti, in quanto metallo tra i più stabili sulla Terra, viene impiegato nel trasporto di uranio arricchito per evitare la contaminazione e la corrosione di quest’ultimo. Mantenendoci sull’esigenza espressa da Berlino di ritirare parte del proprio oro, possiamo considerare, da dati ufficiali , che la Germania dispone di più di una tonnellata di Heu (Highly Enriched Uranium, uranio altamente arricchito), composta da 980 kg. Heu “dichiarati” come presenti sul suolo tedesco, più materiali detenuti in Francia nel reattore tedesco Frm-II che consuma circa 35 kg. Heu all’anno (e che continuerà a consumare a questo ritmo almeno fino al 2016). Inoltre, la Germania ancora conserva Heu irradiato di origine sovietica nella struttura di Rossendorf. Nel 2012, un carico di 349 kg. di uranio e plutonio è stato immagazzinato ad Ahaus in attesa di una decisione di Berlino sul rimpatrio nella struttura russa di Mayak. La partecipazione della Germania alla Global Threat Reduction Initiative, dunque, sembra procedere con regolarità, anche se un po’ di scetticismo l’ha creato un articolo che ha confermato qualche rumor esistente (pur circolante con molta discrezione). Presso il porto tedesco di Bemerhaven, infatti, sarebbe stato osservato il caricamento di un’arma nucleare (bomba ad idrogeno da 500 kilotoni) su un sottomarino di classe “Dolphin” di costruzione tedesca, successivamente al quale il sottomarino sarebbe uscito da ogni possibilità di monitoraggio. Pensare che la Germania operi in violazione dei Trattati internazionali è pura utopia, ma al di là di questo ciò che resta è la preoccupazione, più volte manifestata dal Governo di Berlino, circa il programma nucleare iraniano definito come una minaccia non solo per il Medio Oriente ma anche per l’Europa. In questo contesto, un fattore determinante della politica di Berlino è stato definito l’impegno tedesco per la sicurezza di Israele.

Questa riflessione, che rappresenta un’applicazione di quanto già espresso nel policy brief “La Crisi del Primo Decennio: Preludio ad un Nuovo Conflitto Mondiale? Analogie storiche tra l’attualità e la Grande Depressione degli anni ‘30” vuole solo evidenziare nuove vulnerabilità connesse al momento storico. L’esempio riferito alla Germania non intende assolutamente focalizzare un “problema”, bensì si lega alle peculiarità riferibili al contenzioso tra Washington ed il Paese europeo che maggiormente incarna lo spirito comunitario. Ma esempi analoghi (e ben più preoccupanti) possono essere avanzati nei confronti di Paesi appartenenti ad ognuno dei restanti quattro Continenti (in particolare per l’Asia).

Cunctator è senior researcher dell’Istituto italiano di studi strategici “Niccolò Machiavelli”

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