Gli italiani si lamentano per il forte aumento della pressione fiscale e contributiva nel 2012, che sta volgendo al termine. Si lamenterebbero ancora di più se sapessero che circa 70 miliardi di euro sono finiti nei vari programmi di salvataggio di Stati dell’eurozona in difficoltà per debiti sovrani. E dalle lamentele passerebbero a vere proteste se sapessero che, all’ultima operazione di salvataggio della Grecia (a cui sino ad ora l’Italia ha contribuito per circa 30 miliardi di euro) alcuni hedge fund americani (quali Greylock Capital, Fir Tree, Brevan Howard e Third Point) hanno avuto rendimenti circa del 100 per cento nel giro di pochi giorni. Grazie principalmente ai timori e tremori (o alla disattenzione) di funzionari europei, forse poco esperti in finanza e certamente già con le valigie pronte per andare a gustare nelle rispettive Patrie i dolci natalizi. Si tratta del buyback il cui esito ha fatto scattare una nuova tranche di aiuti ad Atene.
I dettagli del meccanismo sono descritti nel New York Times del 24 dicembre e in parallelo su alcuni quotidiani svizzeri. Stranamente, pare che la stampa italiana non se ne sia accorta oppure che la notizia sia finita vittima della riduzione della foliazione in questi ultimi giorni o del maggior spazio alla politica oppure ancora del fatto che parte della stampa su carta era preconfezionato su eventi natalizi. Sorprende che il meccanismo era già stato utilizzato in occasione della crisi finanziaria irlandese e che una serie di e-mal (alcune della quali dai piani alti della Deutsche Bank) al Commissario Olli Rehn aveva suggerito la strada per evitare un guadagno legale ma chiaramente furbesco ed eccessivo.
In breve, lo stratagemma è stato nel mettere in atto una serie di azioni intimidatorie (pur se legali) dirette a impedire che la Grecia non facesse scattare clausole di azione collettiva secondo cui tutti i detentori di obbligazioni accettassero l’identica riduzione di valore di riscatto rispetto al valore nominale. La clausola di azione collettiva non è automatica e nel diritto internazionale non c’è una giurisprudenza univoca in materia; quando l’Argentina e l’Irlanda l’hanno applicata, alcuni creditori hanno fatto ricorso e le vertenze sono state risolte individualmente o in via giudiziaria o tramite accordi tra le parti (più vantaggiosi ai singoli creditori).
Lo scorso marzo un piccolo fondo, il Dart Management, si rifiutò di accettare la clausola (pur firmata dagli altri); il governo greco pagò il valore facciale per evitare di finire in tribunale. Il governo greco ed i suoi maggiori advisor internazionali (Adam Lerrick e Hakan Wholin) avrebbero voluto inserire la clausola nell’accordo con i creditori (come nello scorso marzo) e vedersela con i recalcitranti, se necessario, anche in tribunale.
Tuttavia, pare siano stati sconsigliati delle autorità europee, timorose che un fallimento del buyback avrebbe potuto avere conseguenze a catena: fuoriuscita della Grecia dall’euro, attacco alla Spagna, all’Italia e alla Francia. Secondo alcune fonti, la diplomazia finanziaria dell’Italia sarebbe stata particolarmente attiva nello scoraggiare Atene dall’includere la clausola.
Il buyback è la vendita di 30 miliardi di euro di obbligazioni greche detenute da creditori in cambio di obbligazioni supportate dall’European Stability Mechanism. Il meccanismo dell’offerta ha seguito la tecnica dell’asta olandese; Atene ha chiesto ai creditori a quanto intendono vendere i loro titoli prima di fissare il prezzo di acquisto e definito una doppia forchetta di prezzo per ognuna delle venti serie di titoli in circolazione: da un minimo del 30,2%/38,1% a un massimo del 32,2%/40,1%, a seconda della scadenza.
In questo modo, se un creditore obbligazionario avesse cercato di ottenere un prezzo vicino al limite superiore, si sarebbe assunto il rischio di non riuscire a vendere se il prezzo di riacquisto fosse fissato a un valore più basso. Dopo che Atene ha reso noti i termini dell’operazione il titolo con scadenza 2023 si è mosso al rialzo e il suo rendimento è sceso di oltre un punto percentuale. Non si può dire che i greci non avessero preso una serie guarentigie.
Con un clausola di azione collettiva, sarebbe stato fissato un prezzo (per gli advisor sarebbe stato appropriato 30 centesimi per un euro, quello delle contrattazioni sul mercato secondario) sulla base di “chi si sta, ci sta, chi non ci sta va in tribunale”.
Quindi, molti fondi speculativi hanno comprato quando si è aperta la vendita rivendendo al termine dalla gara, con utili complessivi stimati da Mitu Gulati in due miliardi di euro. Un sovrapprezzo che l’Europa si sarebbe potuta risparmiare.