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Ma la finanza può fare qualcosa per l´economia reale?

Produttività

Domanda fondamentale quella a cui l’ultimo workshop organizzato dalla New Economic Foundation (NEF), centro studi d’oltre Manica, assieme alla London School of Economics (LSE) ha cercato di dare risposta. Cosa può fare la finanza per sostenere l’economia reale? In tempi di austerity a chiederselo sono in molti. “La finanza ha un ruolo fondamentale – rompe il ghiaccio davanti a una stanza gremita Stewart Wallis, direttore del NEF -. Muove il denaro dai risparmiatori agli imprenditori con le migliori idee. Quello che però deve radicalmente cambiare è l´ammontare complessivo di debito e il numero di investimenti senza alcun riscontro nell’economia reale”. Perché è dagli anni Settanta, dalla deregolamentazione del sistema finanziario americano che l’immagine della casalinga di Voghera che mette i risparmi in banca affinché l’istituto di credito li possa prestare agli imprenditori con le migliori idee non vale più”. Oggi è l’erogazione del credito a creare depositi, non più il contrario”, interviene Tony Greenham, capo del team finanziario di NEF.

Ma cosa significa esattamente? Finanziandosi direttamente sul mercato dei capitali ed emettendo titoli, le banche concedono prestiti o acquistano titoli espandendo il proprio bilancio alla ricerca di un sempre maggior profitto senza dover aspettare che i risparmi dell’ipotetica vecchietta siano effettivamente depositati. Il risultato: siamo di fronte all'”unico vero pranzo gratuito dell’economia”, scherza Wallis parafrasando la famosa frase di Keynes. Ovvero: la finanziarizzazione eccessiva dell’economia permette alle banche di girare la stessa carta più volte creando i così detti paper profits (“profitti di carta”) a cui non corrisponde nessuna crescita di valore dell’economia reale. Non a caso dagli anni settanta, evidenzia Greenham, i prestiti alle imprese (come i salari dei lavoratori) sono rimasti sostanzialmente invariati mentre il volume di operazioni finanziarie è aumentato in modo costante. Cosa propone NEF? Primo. Un quantitative easing (QE) mirato non soltanto all’acquisto di bond di istituti di credito in difficoltà, ma focalizzato sui cittadini e sull’acquisto diretto dei loro mutui o crediti in modo da tirarli fuori dalla situazione debitoria. Secondo. Considerare il credito come un bene pubblico e gestirlo come tale, ovvero non usarlo esclusivamente per finanziarie i settori dell’economia con i maggiori ritorni economici o per alimentare la speculazione. Ciò non significa dare spazio a idee scadenti, ma semplicemente creare un ranking per cui un progetto imprenditoriale con riflessi positivi sull´economia sia preferito al puro trading finanziario. Una condizione che puo´ garantire soltanto un intervento diretto dello stato. Ma in sala c’è una voce ancora più radicale.

A sorpresa è quella di Michael Kumhof, figura di punta del Fondo monetario internazionale, un’istituzione certamente non nota per le sue posizioni estremiste. L’economista attacca a muso duro il diritto delle banche di dover mantenere solo un ammontare minimo di riserve proponendo invece un sistema in cui il credito erogato corrisponda soltanto al cento per cento dei depositi delle banche private e dei depositi che queste tengono presso le banche centrali. “Uno, uno, uno. Nulla piu´”, sintetizza Emanuele Campiglio, ricercatore di LSE e autore del libro “L´economia buona”. Cosi´ la Banca Centrale torna a essere l’unica entità in grado di creare denaro e l’unica istituzione capace di decidere la quantità di credito nell’economia reale togliendo alle banche private quell’incredibile privilegio di poter aumentare a piacimento la leva finanziaria. Il risultato? Secondo il paper del FMI il debito privato sarebbe immediatamente ridotto del 100 per cento del Pil, la crescita sarebbe incentivata, i prezzi sarebbero stabilizzati e i banchieri spodestati. Utopico? Certamente in questo clima politico dato che gli istituti privati si oppongono con successo (vedi l’America) all’implementazione di accordi come Basilea III che prevede un semplice rialzo al 7 per cento del capitale regolamentare (il core tier 1) a fronte del rischio dell´attivo di bilancio. L’utopia però ha un ruolo: far girare idee su modelli diversi su cui organizzare la societa´. Solo cosi´ si puo´ iniziare a pensare a una finanza diversa.

Questo articolo è originariamente apparso su: Pubblico



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