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Mittal ha convinto il nazionalizzatore Hollande

Alla fine l’ha spuntata Mittal. E non poteva essere altrimenti. La minaccia di nazionalizzazione degli impianti di Florange, cittadina francese del dipartimento della Moselle dal tessuto produttivo a forte componente siderurgica, si è rivelata solo uno straccio rosso da agitare di fronte ad ArcelorMittal, il toro multiteste della siderurgia mondiale.

Spentosi quello come un fuoco di paglia, nelle mani del governo francese è rimasto non solo un ministro imprevedibile, Arnaud Montebourg, fino a sabato sull’orlo delle dimissioni dal ministero. Sullo sfondo tambureggia uno scontro tra dicasteri, rinnovamento produttivo vs economia e finanza, fondamentali nella strategia di ripresa economica transalpina. Con un premier costretto a fingere di non aver sentito le dichiarazioni incendiarie del suo ministro. E, last but not least, un sindacato tentato di schierarsi dalla parte del padrone.

Una Caporetto per François Hollande, dunque? Non è detto ma ora tutto dipende dal maggior gruppo della siderurgia globale. L’unica cosa certa che piuttosto che espellere dall’Esagono il magnate anglo-indiano come chiedeva Montebourg, l’esecutivo di Parigi ha messo nelle sue mani il destino della siderurgia lorena e gran parte del proprio.

Duemilasettecento lavoratori, due altoforni a rischio chiusura con conseguente perdita di 630 posti di lavoro, milioni di euro di investimenti. Queste le cifre del tira e molla su cui il 26 novembre era entrato a piedi uniti Montebourg.

“Mittal vuole tenersi le officine senza usare gli altoforni a pieno regime? Allora nazionalizzeremo Florange”. Cosi su Les Echos dava la carica il ministro. “Non vogliamo più Mittal in Francia perché non rispetta i nostri interessi”, sottolineava il politico facendo presente che il governo aveva avuto due offerte che riguardavano però la totalità del complesso. Cosi la sorte di uno dei siti europei di minor ritorno per Mittal sembrava segnata. Tutto o niente, questa la strategia del ministro.

Completamente diverse le conclusioni. Dopo giorni di intensi negoziati tra Jean-Marc Ayrault e lo stato maggiore della multinazionale, venerdì l’esecutivo di Parigi evitava l’umiliazione del piano sociale. In attesa del destino definitivo, gli altoforni P3 e P6 andranno avanti a singhiozzo. I lavoratori saranno riconvertiti. Nessun licenziamento. Niente mobilità forzata. Il cuore di alcuni cicli di lavorazione batterà a pieno regime. 53 milioni di euro, sui 180 destinati in cinque anni alla siderurgia transalpina, pronti a modernizzare impianti strategici. Ecco le promesse di Mittal.

In realtà per lasciare in vita gli altoforni si spera in Ulcos. Il programma di ricerca europea per lo stoccaggio del diossido di carbonio liberato dalla produzione di acciaio. Ma si tratta di pii desideri scrive le Monde. Sono in tanti a volere Ulcos, la Commissione non si è ancora pronunciata e dei finanziamenti non si vede l’ombra. L’odore di un provvisorio che diventa definitivo è invece ben presente. Tutto dipende dal mantenimento degli impegni da parte di Mittal. Se non sarà cosi i conti li pagherà il governo francese.

Non solo Montebourg resta tra color che sono sospesi. Anche il capo del governo rischia. Tirando le conclusioni delle trattative Ayraut non nominando mai il ministro lo ha sconfessato. Niente nazionalizzazione. Scomparsa dei possibili acquirenti. La débacle del responsabile del rinnovamento produttivo francese è netta. Non è la prima volta che Montebourg mostra i muscoli. Sempre però seguiti dalla ritirata. Questa volta non è detta l’ultima parola. Se Mittal non rispetta la parola data allora saranno altri a dover recitare il mea culpa. Non escluso Hollande.

 

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