Tra il premier Mario Monti e l’amministratore delegato di Fiat, Sergio Marchionne, si può dire che c’è un “feeling atlantico”. Monti è l’unico uomo politico italiano che pensa in inglese; così come Marchionne è l’unico manager italiano che pensa in inglese. “Parlano insomma lo stesso vocabolario”. Spiega così la sintonia tra i due, mostrata oggi nell’incontro allo stabilimento di Melfi, Ugo Bertone, giornalista economico di lungo corso ed esperto tra l’altro del settore auto, in un’intervista a Formiche.net.
“Sono due persone che si ritrovano anche ideologicamente – dice Bertone – hanno gli stessi concetti di libertà dell’individuo, dei rapporti Stato-cittadino, del ruolo dell’azienda e sul fatto che il concetto di competizione prevale su quello di eguaglianza”.
Certo, ammette l’editorialista di Libero e Foglio, la vicinanza a Marchionne è un rischio qualora Monti decisse di candidarsi alle prossime elezioni: il capo azienda del Lingotto “non è popolare. Se negli Usa è considerato ‘the man of the year’ da tre anni e riconosciuto come manager di livello mondiale, in Italia ha però grandi antipatie da parte di tutti” ma va comunque per la sua strada, persegue i suoi obiettivi.
Come il premier, che diversamente dai politici “ci mette la faccia e non si allontana dalla sua agenda” di riforme. “L’uno e l’altro sanno che la forza della ragione li spinge ad andare avanti”. Sembrano, prosegue Bertone, “come quegli autori e musicisti che non sono mai in testa alle hit parade ma che vincono il premio della critica”.
Storicamente questo feeling tra vertici di Fiat, includendo l’endorsement arrivato dal presidente John Elkann, e presidente del Consiglio, non c’è mai stato: “L’avvocato Giovanni Agnelli amava essere amato, mentre Cesare Romiti era sicuramente abile ma la Fiat era incomparabilmente più forte di oggi”. Oggi invece possiamo persino dire, aggiunge Bertone, “che se non ci fosse stato Monti a Palazzo Chigi, Marchionne se ne sarebbe già andato” ad investire negli Stati Uniti, “accelerando tutte le tappe”. Oggi invece “vuole riprovarci. Sta spingendo sugli investimenti in Italia per dimostrare a Chrysler che Fiat avrebbe i soldi per acquisire l’azienda di Detroit e che non le chiederà mai un centesimo”. L’obiettivo sarebbe quello di “creare un grande gruppo e mettere insieme Fiat, Chrysler e un partner asiatico forte”.
Il sostegno e gli applausi degli operai per il premier non devono stupire. Secondo Bertone, infatti, “dimostrano di avere l’intelligenza storica per capire che oggi lo stabilimento di Melfi è la più bella fabbrica d’Europa”.