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La sfida e le incognite di Monti tra liste e listona

Chi avrebbe infatti messo in forse, due mesi o anche solo un mese fa, la vittoria di Pier Luigi Bersani e della coalizione di centrosinistra? Pochi, quasi nessuno. Allo stesso modo, pochissimi avrebbero scommesso sull’uscita di scena definitiva di Silvio Berlusconi. Non è tutto: solamente uno sparuto gruppetto di persone sobrie ed austere avrebbe giurato sull’impegno diretto di Mario Monti in politica, in veste non già di tecnico, essendo esaurita tale funzione, e non fosse altro perché l’Italia resta pur sempre una democrazia ed i voti – il consenso – bisogna guadagnarseli sul campo; ma in qualità di soggetto autonomo ed indipendente che desidera proseguire quanto fatto finora per non gettare alle ortiche la credibilità che il nostro Paese ha riacquistato sulla scena internazionale (e non solo).

La sua «salita» in campo è stata preceduta dal varo di un’agenda programmatica attorno alla quale radunare una serie di adesioni in grado di avallare la sua candidatura, o comunque di sostenere un listone – o diverse liste – che faccia capo alla sua persona.

Si tratta di un elemento se non di rottura, senza dubbio di novità rispetto al passato, in cui il confronto politico veniva costruito e architettato in base a personalismi, ad antipatie e rancori nutriti nei confronti di questo o quel candidato, per non parlare poi della composizione delle liste, costellate da cortigiani, yesman e fedelissimi del capo (o dei capi).

Una prima inversione di tendenza sembra quindi esser già stata operata, a prescindere dai contenuti – che andranno valutati nel merito, oltre che singolarmente – dell’agenda-Monti.

Occorre poi domandarsi se la maggioranza del corpo elettorale sia effettivamente portato a premiare un soggetto politico, sia esso listone, coalizione e chi più ne ha più ne metta, in cui a dominare non sia il populismo e l’invettiva personale, bensì la volontà di costruire qualcosa e non già di demolire quanto fatto in precedenza. Più esplicitamente: chi ci dice che l’italiano medio preferisca premiare Monti, conferendo alla sua persona il proprio voto, quando invece l’agone politico straripa di personaggi (in cerca d’autore) egocentrici, bizzarri, caricaturali ed inclini a far parlare di sé a tutti i costi? A questa considerazione si potrebbe giustamente obiettare che il popolo italiano è in larga parte moderato; e che quella che venne un tempo definita «maggioranza silenziosa» non è del tutto svanita, ma potrebbe riaffiorare in superficie da un momento all’altro, stravolgendo ogni previsione o proposito ipotizzato poco prima.

Tuttavia i tempi sembrano maturi per operare un cambiamento sostanziale, oltre che necessario: una svolta radicale che conferisca nuovamente alla politica la sua naturale vocazione a prospettare soluzioni, sì per il contingente e l’immediato, ma – in via principale – per il futuro. Per coloro che saranno adulti tra vent’anni e che dovranno costruire il proprio orizzonte sulle macerie lasciate sulla scena da partiti scatenati e furibondi. Sotto questo versante, l’opzione Monti, al netto dei risultati piuttosto scarsi e non molto incisivi del governo tecnico, resta interessante, oltre ad essere una valida carta da poter giocare per cercare di risanare definitivamente il nostro Paese.

Sullo sfondo, resta l’incertezza che alla sobrietà e alla «forza tranquilla» espressa dal Professore, il popolo italiano – quello che sarebbe in larga parte da considerare moderato – preferisca l’opzione dei partiti, o peggio, della partitocrazia. Quella che, come ben sappiamo, si esprime attraverso la formula del “cambiare tutto per non cambiare nulla”. Se l’offerta politica è sempre frutto della contemporaneità e della contingenze del momento, l’inatteso potrebbe proprio arrivare da quell’insieme di forze che, oltre ad essere sottostimate, vengono giudicate in partenza poco attrattive e non in grado di catalizzare il consenso elettorale.

(sintesi di un’analisi più ampia che si può leggere qui)

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