Nelle prossime ore sapremo se e come sarà presente nelle liste elettorali Mario Monti e con lui quali esponenti del suo governo. Nel frattempo, i suoi avversari – fino ad oggi anche suoi “azionisti” – si sono organizzati, e non male.
Il Pd ha iniziato con le primarie e Silvio Berlusconi è partito con un robusto tour televisivo. Siccome la competizione è pur sempre una competizione, l’asticella delle polemiche contro il professore bocconiano si è alzata, e ancora molto si alzerà.
Se pensiamo alla reazione di Palazzo Chigi all’intervista di Massimo D’Alema al Corriere della Sera con cui il leader del Pd ha giudicato “moralmente discutibile” la svolta politica di Monti, viene da riflettere.
Sta emergendo con sempre maggiore chiarezza una sorta di non troppo celato fastidio per le critiche e le accuse, fondate o meno che siano. Il governo tecnico, va detto, ha goduto di una stampa favorevole come mai nessuno prima. Merito del premier che certamente è giudicabile positivamente ma anche responsabilità di un sistema editoriale che aveva l’interesse di vedere sempre il bicchiere mezzo pieno anche quando era mezzo vuoto.
Adesso il gioco si fa duro e Monti ha scelto di sporcarsi le mani. E’ un impegno molto nobile proprio perché ha una conseguenza molto chiara: se il presidente del Consiglio si sveste della toga di tecnico e indossa la maglia elettorale, perde quello status di “intoccabile” di cui ha sin qui goduto.
Questo vale per lui, per i ministri che lo seguiranno ed anche per quei pezzi di cosiddetta società civile che hanno speso gli ultimi anni per criticare a ogni piè sospinto la “Casta” non per cancellarne i privilegi ma per prenderne il posto. L’insofferenza accusata da Monti (e soprattutto dai suoi più o meno improvvisati accoliti) è spiacevole e sgradevole.
La politica è un impegno nobilissimo ma anche faticoso e spesso doloroso. Non si può fare dando lezioni in cattedra ma scendendo per strada a raccogliere con umiltà consenso. E anche dissenso.
Se non si accettano critiche, meglio tornarsene a casa e tenersi stretto l’alto pulpito dal quale lanciare (facili) strali su chi cerca di fare ciò che altri non possono e non vogliono neppure tentare. Vincere facile in politica non è possibile, almeno quando vige la democrazia.