La brusca fine dell’attività del governo Monti ci porterà, tra le altre cose, a votare con una legge elettorale che – a parole – tutte le forze politiche presenti in Parlamento avrebbero voluto cambiare, addirittura anche quelle che nel 2005 la introdussero, ma che, alla fine, nessuno è riuscito neppure a scalfire: un autentico capolavoro politico.
Per chi tenta di osservare le vicende politiche con un approccio intellettualmente onesto, un simile epilogo assomiglia tanto all’ennesima farsa messa in scena dalla classe politica italiana, sempre più incapace di essere all’altezza delle ordinarie attese dei cittadini. Da un anno a questa parte, almeno, tante sono state le proposte di riforma, non poche le bozze sulle quali si auspicava che le forze politiche potessero convergere. Il “ridare voce ai cittadini” e il “restituire il diritto” sono diventati un mantra al quale tutti gli interventi pubblici hanno riservato uno spazio non indifferente. Si è trattato di un bluff organizzato ad arte? Un classico espediente retorico per ricevere il plauso dell’opinione pubblica? Ovvero, più banalmente, la manifesta inettitudine a svolgere un lavoro per il quale sono lautamente pagati?
Molti hanno sostenuto che l’attuale legge elettorale è troppo ghiotta per i leader dei partiti poiché consente loro di selezionare il ceto parlamentare, riservando al “popolo” il solo atto di ratifica. “Quattro Caligola” – per usare un’efficace espressione del prof. Dario Antiseri –, seduti attorno ad un tavolo, decidono la composizione del Parlamento. È vero, le elezioni del 2006 e quelle del 2008 hanno consentito, ovviamente a tutte le forze politiche, di stabilire con ampio margine di previsione i potenziali eletti che – anche sconosciuti ai più e senza esperienza politica precedente – sarebbero stati certi, all’atto del deposito delle candidature, di doversi dedicare (chi più, chi meno) all’attività parlamentare negli anni a seguire. Tuttavia, non è solo con il porcellum che ciò è possibile. Lo è stato, per esempio, anche con il Mattarellum, quando la mappatura dei “collegi blindati” poteva permettere allo sconosciuto di turno (imprenditore, impiegato, professore, ecc.), per esempio del Piemonte, di essere eletto in Sicilia e viceversa. Per non parlare dell’assegnazione dei seggi nella quota proporzionale (il 25%) che lo stesso sistema elettorale prevedeva. Alcuni obiettano che comunque il cittadino “conosceva” il proprio parlamentare, poteva rintracciarlo, chiedergli conto del suo operato. In realtà, in molti casi il deputato “catapultato”, oltre a non conoscere il territorio prima della campagna elettorale, non se ne interessava neppure dopo.
Dunque, in entrambi i sistemi possiamo individuare una delle più classiche regolarità della classe politica, quella di cooptare personale di fiducia anche attraverso meccanismi elettorali democratici. Come ha argomentato Antonio Campati, fellow del Centro Studi Tocqueville-Acton, in un suo recente saggio (Rivista di Politica 04/2011), la cooptazione non è né una modalità di selezione superata dal consolidamento di regimi che, apparentemente, la mettono al bando, né tanto meno il risultato della degenerazione di uno strumento di rappresentanza democratica. È una formula autonoma di selezione della classe politica con pregi e difetti. Certamente, negli ultimi anni abbiamo conosciuto più i secondi, infatti la discrezionalità nelle candidature concentrata nelle mani delle leadership non è stata utilizzata sempre con senno, anzi, il “parlamento dei nominati” non ha dato una gran prova di sé, facendoci rimpiangere talvolta la peggiore partitocrazia della peggiore prima repubblica. Tuttavia, la modalità di cooptazione può essere utilizzata anche nel senso opposto, in modo virtuoso, come mezzo per selezionare persone competenti, preparate, pronte ad elaborare le politiche necessarie al nostro Paese.
Negli ultimi giorni, iniziando l’iter per la composizione delle liste, tutti i dirigenti dei partiti hanno auspicato che nel prossimo Parlamento siedano persone di qualità, ma gli stessi leader non hanno potuto-voluto-saputo modificare il meccanismo di tale selezione. Si assumano, quindi, la responsabilità di scegliere, di cooptare, personale all’altezza, visto che il margine di intervento del cittadino è, a causa loro e della loro inettitudine, veramente risicato. Probabilmente, questa è l’ultima chance, un ulteriore rinvio nell’assunzione di tale responsabilità potrebbe rappresentare un grave pericolo per la nostra democrazia.