Scrittori e intellettuali, profeti moderni di Israele, ci declamano tutti i giorni il lamento e la colpa di appartenere a uno stato ebraico. Si dicono e si sentono oppressori di un popolo. Ma è da qui, dall’Europa sterminatrice, dalla cultura illuminista e liberale delle grandi nazioni che fecero la guerra e portarono a quasi completo compimento nei forni l’annichilimento dello Judentum, è da qui che possiamo e dobbiamo dire la verità.
Fredda, disincarnata, scheletrica e assoluta: Israele ha più diritti di quanti ne abbia rivendicati e custoditi nelle sue guerre vinte dal 1948, nella sua passione cosmopolita e patriottica, etnica e socialista e nazionale e religiosa. E se farebbe bene per se stesso a trovare una soluzione politica e diplomatica stabile, è per noi un dovere ripetere che senza la sua sicurezza contro un mondo immenso di nemici in armi nessuna soluzione sarà mai stabile. Senza la difesa del suo carattere democratico, ebraico, sionista, nessun accordo sarà mai possibile.
Lasciamo che gli israeliani celebrino la loro libertà con gli scrittori-profeti che sputano sulle loro colonizzazioni. Prendiamoci noi la libertà occidentale ch’è nostra: un pezzo della civiltà millenaria nata in quella terra è in pericolo, per la ennesima volta nei secoli, ed è un pericolo prenucleare alimentato da una spirale annientatrice e terroristica. Dunque, facciamo fronte.