L’Argentina, nonostante l’enormità delle sue ricchezze, è un bancarottiere seriale che spenna sistematicamente i suoi creditori e, nonostante questo, diventa in termini relativi sempre più povero.
In Italia qualcuno ha voluto guardare alla breve ripresa dopo il default del 2001 (trainata dal rialzo della soia e del petrolio) e ne ha ricavato la brillante idea che il default è un grande affare. In realtà è quasi sempre vero il contrario.
I paesi abituati al default (si veda anche la Giamaica, per restare nell’area) perdono l’incentivo ad affrontare i loro problemi strutturali e tendono anzi ad aggravarli progressivamente.
È bastata una modesta correzione del corso delle materie prime per riportare l’Argentina nell’instabilità sociale e politica, nella stagnazione e nell’inflazione. Attenzione, però. Il possibile default sui bond esteri, nelle prossime settimane, non sarà, per una volta, dovuto alla non capacità o volontà di pagare, ma a una sentenza di un tribunale americano che obbliga l’Argentina a rimborsare anche i creditori che non hanno aderito alle due ristrutturazioni del 2005 e del 2010.
Per quanto in veloce deterioramento, la posizione finanziaria dell’Argentina non è ancora compromessa. Il debito pubblico interno è pari al 22 per cento del Pil, quello verso l’estero è del 18 (del 34 se si include quello delle banche). Le partite correnti sono in pareggio.
La Kirchner non sembra volere sfruttare l’occasione per un nuovo default generalizzato, e le cedole di dicembre verranno probabilmente pagate.
Alessandro Fugnoli