Pubblichiamo l’articolo apparso sulla rivista online Affari Internazionali scritto da Mario Sarcinelli, presidente di Dexia Crediop
Per la fine del 2012, più probabilmente agli inizi del 2013, un gruppo di lavoro ad alto livello tra l’Ue e gli Usa dovrà fare delle raccomandazioni per un Accordo di libero scambio (Als) tra le due più importanti aree commerciali del mondo. Per lungo tempo, l’attenzione di quanti si occupano dello sviluppo dei traffici commerciali e dei loro positivi effetti sulla crescita si è concentrata sulle relazioni degli Stati Uniti con la Cina, nonché sulle conseguenze che esse hanno avuto sulla delocalizzazione produttiva delle imprese americane, sullo squilibrio commerciale tra i due paesi, sul finanziamento del disavanzo pubblico americano da parte cinese, sul cambio manovrato dello yuan nei confronti del dollaro.
Perché ora?
Eppure, le cifre dell’interscambio tra Usa ed Ue (485 miliardi di dollari nei primi nove mesi del 2012) sono molto più importanti di quelle tra Usa e Cina (390 miliardi nello stesso periodo). Inoltre, gli investimenti esteri degli Usa in Europa sono pari a tre volte quelli effettuati in Asia, mentre l’Europa ha investito negli Stati Uniti otto volte le somme impegnate in Cina e in India.
Come mai si riscopre oggi l’importanza di un accordo di libero scambio tra l’Ue e gli Usa? Probabilmente, a causa della crisi economica che l’Europa non sembra in grado di affrontare energicamente per la priorità accordata all’austerità – in alcuni paesi certamente necessitata – e che anche gli Stati Uniti faticano a superare, non riuscendo a far diminuire il tasso di disoccupazione a un livello socialmente accettabile. Invero, si calcola, con molto ottimismo, da parte dei fautori di un tale accordo, che il tasso di crescita del Pil su ambo i lati dell’Atlantico potrebbe aumentare dell’1,5%.
Poiché mediamente i prodotti scambiati tra le due aree sono colpiti da dazi che non raggiungono in media il 3 %, l’unica possibilità di ottenere un significativo aumento della crescita economica è legato all’eliminazione delle barriere non tariffarie, cioè all’armonizzazione degli standard regolatori, particolarmente importanti in settori come quello farmaceutico. Un’altra ragione che spiega il ritorno di fiamma in Europa per un Als con gli Stati Uniti è che il negoziato col Canada sul medesimo argomento sembra avere raggiunto lo stadio finale, e che quello con la Corea, paese dalla forte crescita economica e al decimo posto nell’interscambio con l’Europa, è entrato in vigore con successo dal luglio del 2011.
Gruppi d’interesse
Se a livello macroeconomico v’è consenso sugli effetti favorevoli alla crescita di una riduzione delle barriere commerciali, a quello settoriale, accanto a comparti che si attendono vantaggi da un Als, ve ne sono altri che temono di essere pretermessi nel negoziato (ad esempio, agricoltori e allevatori americani contrari alla Politica agricola comune o alle regole europee sui prodotti geneticamente modificati) o addirittura danneggiati. I risultati ottenuti nell’esemplare accordo con la Corea da parte dell’Unione europea e dei suoi stati membri – si afferma – non può dar luogo all’aspettativa che l’Ue sia in grado di ottenere un successo in tutti o quasi i settori nei negoziati per un Ales con economie di grandi dimensioni, le uniche in grado di avere un impatto effettivo sulla crescita e sull’occupazione.
Per quale ragione? Prima di tutto, perché l’Ue è un’area a bassa crescita da vari anni e quindi contrattualmente più debole; secondariamente, perché l’Ue non sembra pronta ai necessari trade-off tra settori fortemente competitivi sul fronte delle esportazioni e comparti stagnanti o sulla strada del declino; pare che i negoziati col Giappone e in qualche misura quelli con l’India ne abbiano sofferto. Diventa quindi rilevante la strategia negoziale che a sua volta dipende, sul fronte interno, dalla capacità di fare compromessi equilibrati non solo tra i settori, ma soprattutto tra i 27 stati dell’Unione prima del negoziato con la controparte e soprattutto durante le fasi critiche del medesimo.
Nella sua comunicazione(1) agli altri organi “costituzionali” dell’Unione sulla modernizzazione degli aiuti di Stato (Mas), la Commissione ha scritto che per raggiungere alti livelli di occupazione, produttività e coesione sociale, il mercato unico è lo strumento essenziale per generare una crescita sostenibile. A sua volta, un efficace mercato interno richiede una regolazione che ne assicuri l’integrazione attraverso i confini nazionali e una politica della concorrenza, compreso il controllo degli aiuti di Stato, che non sia distorta da comportamenti anticoncorrenziali delle imprese o degli Stati membri a favore di alcuni operatori e a detrimento di altri.
Potenzialità
Anche se determinati aiuti di Stato sono permessi per raggiungere obiettivi inclusi nella Strategia di Europa 2020 (ad es., l’Agenda digitale per l’Europa), alcuni Als bilaterali includono anche norme sui sussidi per disciplinare specifici aspetti non coperti dalla regolamentazione dell’Organizzazione mondiale del commercio; è questo il caso dell’Als con la Corea. Sarà possibile avere una soluzione simile in un accordo con gli Stati Uniti? Difficile dirlo, data non solo la differenza di peso strategico, politico, economico e commerciale rispetto alla Corea, ma soprattutto, a mio avviso, per la mancanza nell’ordinamento federale degli Stati Uniti di una norma simile a quella che nei Trattati dell’Unione europea proibisce gli aiuti di Stato.
Anzi, è prassi corrente che uno stato federato, una contea o una città cerchi con pubblico denaro di attrarre un’impresa nel proprio territorio o di evitare che la medesima si trasferisca in altra giurisdizione; secondo un’indagine(2) del New York Times, il totale degli incentivi concessi dai governi locali è di oltre 80 miliardi di dollari l’anno e il Texas è lo stato che ne concede di più: oltre 19 miliardi l’anno. Il settore manifatturiero, ovviamente, è quello che ne beneficia maggiormente, seguito dall’agricoltura.
I diversi interessi settoriali come pure i differenti ordinamenti potranno bloccare i negoziati tra gli Usa da una parte e l’Ue con i suoi stati membri dall’altra? La risposta scontata è che ciò non accadrà se v’è la “volontà politica”; all’indomani dell’elezione del presidente Obama per il secondo mandato, la cancelliera tedesca Merkel e il primo ministro britannico Cameron si sono espressi a favore dell’Als tra le due sponde dell’Atlantico. Il presidente Obama non risulta che abbia preso pubblica posizione sul tema; lo farà, dopo la sua inaugurazione, quando – si spera – farà finalmente una visita a Bruxelles?
(1) COM/2012/0209 final.
(2) Story L. (2012), “As Companies Seek Tax Deals, Government Pay High Price”, New York Times, December 1st , secondo articolo di una serie intitolata «United States of Subsidies: A series examining business incentives and their impact on jobs and local economies».