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Quando il rigore è amico della crescita

Le istituzioni sono come le fortezze:
resistono se è buona la guarnigione” (Karl Popper)

Il tema della crescita si presta ad una pluralità di approcci, ciascuno dei quali ha il merito di rivelare una peculiare prospettiva antropologica, un’immagine di uomo e un’idea di società civile non confondibili con altre.

È questo un punto qualificante ed ineludibile di un programma politico-economico ispirato al modello dell’economia sociale di mercato. Partiamo dal presupposto che dire “crescita” non significhi immediatamente dire “sviluppo”, perché esiste la crescita senza lo sviluppo. Abbiamo una crescita in barba alle regole, di coloro che approfittano della loro condizione di potere, di privilegio, di monopolio, di forza. Abbiamo un’idea di crescita che pretende di raccogliere senza aver prima seminato, che calpesta i diritti altrui, che devasta l’ambiente, assumendo l’espressione del tutto irresponsabile di “ad ogni costo” come proprio imperativo categorico. In definitiva, abbiamo “crescita” e “crescita”, quella che nasce dall’investimento produttivo, ad alto valore aggiunto, che richiede capitale umano di primissimo livello e formazione continua; un’idea di crescita che nel medio-lungo periodo ci consente di parlare di autentico sviluppo. Poi abbiamo una crescita che invece fa leva su prodotti a basso valore aggiunto, dove il capitale umano non riveste particolare importanza e la formazione e l’educazione risultano persino dei pesanti fardelli (chi diceva che la cultura non da mangiare?). È questa un’idea di crescita che, rapinando nel breve, compromette il futuro nostro e dei nostri figli; In tal senso, la prospettiva teorica dei Padri dell’esperimento comunitario, sorto dalle macerie morali, economiche, politiche e istituzionali della Seconda Guerra Mondiale, noto come modello dell’“economia sociale di mercato”, ha tentato di implementare un sistema politico incentrato sulla libera concorrenza, intesa come compito sociale al servizio della persona umana. Finalità sociali da perseguire non contro il mercato, ma attraverso le sue istituzioni, che necessitano di presupposti culturali e morali.

In questo contesto si inserisce anche il tema del “rigore”. Una retorica consumata vorrebbe contrapposti e alternativi i termini “crescita” e “rigore”: un trade-off in forza del quale un incremento della “crescita” necessiterebbe di un alleggerimento delle politiche di “rigore”. In questa prospettiva, al contrario, crescita e rigore rappresentano le due facce di una comune medaglia. Il rigore, inteso come lotta serrata e continua alla corruzione, sobrietà della spesa pubblica, investimento selettivo altamente produttivo e severa verifica delle performance finanziarie e industriali, non è altro che il presupposto tecnico per l’innesco di un circuito virtuoso. Il tema di fondo e la tesi che intendiamo portare avanti è che non è sufficiente appellarsi retoricamente e alternativamente alla “crescita” e al “rigore”, quanto piuttosto qualificarli, individuando nell’ottimizzazione sistemica (politica, economica e etico-culturale) una leva fondamentale per una crescita economica che sia autentico sviluppo umano.


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