Tra Cina e Giappone la tensione è ormai alle stelle. Al centro dello scontro l’annosa questione delle isole Diaoyu (se le chiamiamo alla cinese) o Senkaku (se le chiamiamo alla giapponese). Uno sparuto gruppo di isolette nel Mar della Cina Orientale che improvvisamente sono diventate cruciali sia per Tokyo che per Pechino, in virtù della scoperta nei loro fondali di ricchissimi giacimenti di gas e petrolio.
La diatriba avrà delle ripercussioni su tutta la regione Pacifica e probabilmente ridisegnerà i rapporti di forza tra i due colossi asiatici, e non solo. Però, è anche vero che al momento è impensabile immaginare una nuova guerra tra l’Impero del Sol Levante e quello Celeste. Al netto dell’aggressività di facciata e dei rigurgiti di nazionalismo che serpeggiano su entrambi i fronti, alle minacce e ai muscoli mostrati facendo sorvolare il territorio dai caccia militari (per parte cinese), o costruendo nuovi villaggi di pescatori sulle isole (per parte giapponese), una guerra “vera” non conviene né a Pechino né a Tokyo.
Il primo partner commerciale del Giappone è la Cina e la salute dei conti nipponici non permette certo di rinunciare a cuor leggero ai rapporti con i cinesi. Il nuovo governo giapponese è tornato ad essere composto da falchi conservatori, questo è vero, ma il futuro premier, Shinzo Abe, è un politico pragmatico di lungo corso e sa bene che il Giappone in questo momento non può fare a meno di Pechino e che una guerra originerebbe un disastro difficilmente sanabile. Insomma, i conservatori del Liberal Democratic Party (LDP) promettono battaglia per accontentare le frange dei nazionalisti che li hanno votati in massa e che gli hanno garantito la vittoria, ma sanno che non possono permettersi azioni da samurai suicida. Stessa cosa vale per la Cina che, pur essendo in una posizione più forte e pur avendo mire egemoniche su tutta la regione dell’Asia-Pacifico, non può fare a meno di vedere alle spalle del Giappone l’ombra lunga degli Stati Uniti.
Il peso degli Usa c’è e si sente, anche se Washington apparentemente resta in silenzio. Gli americani più volte hanno sottolineato che la disputa sulle isole contese è stata già regolata con un trattato del 1960, che obbliga gli Usa a correre in aiuto del Giappone qualora quest’ultimo venga attaccato. Come a ribadire che una guerra tra Tokyo e Pechino coinvolgerebbe necessariamente anche gli Stati Uniti, che al momento stanno lavorando nell’ombra per negoziare una tregua tra i due Paesi.
Resta per ora senza risposta la domanda su quale sarà il volto della regione al termine della disputa, e quanto questa influirà sui sottili equilibri che sottendono alle “buone relazioni” tra Cina e Stati Uniti. La partita è allargata e va ben oltre il Mar della Cina Orientale. È possibile che nel prossimo futuro si profili una nuova guerra fredda tra i due giganti mondiali. Nel caso, però, è bene non dimenticare che la prima guerra fredda, quella tra Stati Uniti e Unione Sovietica, è riuscita a garantire la pace nel mondo per più di 50 anni.