Chiariamo un fatto: a me, il Dottor Marchionne non piace; l’ho scritto spesso, e lo confermo oggi. Aggiungo che considero alquanto fuori luogo l’immagine che ha voluto (?) diffondere, fatta di maglioni neri, di quattro ore di sonno a notte, di passione per una cultura musicale di rara raffinatezza… il tutto condito con una spregiudicatezza assoluta nell’annunciare cose che poi non si realizzano.
Ma fino a prova contraria, il Dottor Marchionne ha vinto. O, se si preferisce , ha fatto vincere un Gruppo fallimentare, anzi due : Fiat e Chrysler. Un pò come se Ghidella – che salvò la Fiat – e Iacocca – che salvò Chrysler – si fossero fusi in una sola persona. Trasformandosi.
Come ha fatto? Nel 2004 e per qualche anno, ha tentato di rimettere in piedi una Fiat portata alla rovina da qualche Amministratore delegato precedente. Poi, con somma sorpresa del nostro microcosmo, ha deciso di acquisire la Chrysler, inventando all’ uopo, per il pubblico. la teoria dei 6 milioni di vetture all’anno per non fallire. Poi, ha spostato progressivamente (ma non troppo) il baricentro economico dell’Azienda verso Ovest.
Facile? Perché è di cultura manageriale nordamericana? Facile?: no. Cultura nordamericana?: sì, ma come direbbe Brignano, non è colpa sua. Questo tratto gli conferisce una certa brutalità nella logica (“perché produrre nuovi modelli in Europa se non si vendono?”). Infatti, il Gruppo produce molto in America (Nord e Sud) perché là si vende e si realizzano utili. E finalmente il Dottore, ha trovato un partner in Cina, dove produrrà vetture, perché là si vendono e producono utili.
Tornerà a crescere in Italia, la Fiat, quella che produce e inventa automobili da più di un secolo? Strano a dirsi, ma probabilmente si, anche se non subito. Per il momento, si parla di Maserati, Alfa Romeo, Y10 e i modelli di gamma bassa Fiat, spinti verso il segmento C. Sempre che gli utili ci siano.
E in seguito? Marchionne chiede molto al Paese, al governo, al sindacato. Ma in fondo, non si vede chi potrebbe succedergli, e chiedere di meno. Naturalmente se il Paese Italia vuol continuare a produrre un numero ragionevolmente elevato di automobili.