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Lo sapete che a Seul mancano i lavoratori?

L’economia sudcoreana ha bisogno di immigrati, ha ammonito il governatore della banca centrale, Kim Choong-soo. Il numero uno dell’Istituto guarda alla demografia. La popolazione del lato Sud della penisola invecchia rapidamente, il tasso di natalità è basso e presto la quarta economia dell’Asia avrà bisogno di forza lavoro. Entro il 2050, dicono i dati del dipartimento Onu per gli Affari economici e sociali, i sudcoreani sopra i 60 anni supereranno il 39 per cento della popolazione contro il 17 per cento dell’anno passato.

L’idea del governatore è permettere l’arrivo di almeno un milione di lavoratori immigrati l’anno. Soprattutto lavoratori qualificati, oggi un decimo dei migranti. Il Paese è etnicamente omogeneo. I lavoratori stranieri regolari sono circa 500mila. Lo scorso aprile l’elezione della prima deputata di origine straniera, la filippina Jasmine Lee, riportò l’attenzione sul tema di una società multietnica.

Gli immigrati sono gradualmente aumentati negli ultimi decenni, ricorda il Financial Times, soprattutto coreani di ritorno dalla Cina e dagli Stati Uniti, stranieri sposati con sudcoreani, lavoratori in gran parte del Sudest Asiatico. Tuttavia restano restrizioni, in molti devono lasciare il Paese dopo cinque anni, e soprattutto tra in non coreani c’è difficoltà a integrarsi in una società  ancora abbastanza conservatrice.

Dalle colonne del quotidiano della City è  il coreanista britannico Aidan Foster Carter a indicare una  soluzione al problema più vicina di quanto si creda: la Corea del Nord. Su una popolazione di 24 milioni di persone la forza lavoro è di almeno 14 milioni. Abbastanza istruita, motivata e con un eccellente etica del lavoro, sottolinea Carter che cita i risultati del complesso industriale di Kaesong, dove piccole e medie imprese sudcoreane  danno impiego a 53mila nordcoreani. Nel 2012 la produzione ha raggiunto un valore pari a 470 milioni di dollari, in aumento del 17 per cento rispetto all’anno precedente.

Il progetto ha resistito al raffreddamento dei rapporti dopo l’elezione a presidente sudcoreano di Lee Myung-bak, fautore della linea dura con Pyongyang. E ha retto anche alle più gravi tensioni tra i due Paesi dalla fine della guerra di Corea nel 1953: l’affondamento della corvetta sudcoreana Cheonan a marzo e il bombardamento su Yeonpyeong a novembre dello stesso anno. Le restrizioni poste da Lee ai rapporti economici con i cugini del Nord hanno fatto si che sia ora Pechino ad fare la parte del leone. Ma l’esempio di Kaesong può essere la strada da seguire, ora che sia a Pyongyang sia alla Casa Blu a Seul siedono nuovi leader.


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