Business Insider lo definisce il lato oscuro delle Primavere arabe che viene alla luce. Secondo quanto riferito da un ufficiale algerino citato dal New York Times, miliziani egiziani coinvolti nell’attacco contro il giacimento di gas di In Amenas in Algeria hanno partecipato anche all’assalto di Bengasi dell’11 settembre in cui hanno perso la vita l’ambasciatore statunitense Christopher Stevens e altri tre funzionari.
Parole che sembrano riecheggiare quanto detto dal segretario di Stato, Hillary Clinton, che nella testimonianza davanti alla Commissione Esteri del Senato ha ricordato come l’attacco contro il consolato Usa nella città della Cirenaica non sia avvenuto per caso, ma deve essere inserito nel quadro delle rivoluzioni nel mondo arabo che hanno stravolto le dinamiche di potere nella regione. A riprova l’uso nell’attacco all’impianto algerino di armi provenienti dalla Libia.
Dalla caduta di regimi decennali in Egitto, Libia e Tunisia, le armi che mancano dalla Libia sono forse la più importante forma di proliferazione nei conflitti moderni, spiega BI citando Peter Bouckaert, direttore per le Emergenze di Human Rights Watch. Questo il vaso di Pandora di cui ha parlato Clinton e che va ad armare gruppi jihadisti dediti a traffici e sequestri nell’area.
Il rovescio della medaglia è quella che l’antropologo Jeremy Keenan chiama rendita del terrore. La ricordano sia l’inviato Rai Amedeo Ricucci sul suo blog sia il giornalista Pepe Escobar sull’Asia Times Online. Lo studioso inglese ne parla in relazione all’Algeria e alla necessità di formare uno scenario terroristico in modo da garantirsi finanziamenti e sostegno nell’ambito della lotta al terrorismo lanciata dopo l’attacco alle Torri Gemelle. Un’ipotesi che potrebbe adattarsi bene anche alle strategie seguite da Ben Ali in Tunisia, Saleh in Yemen e Mubarak in Egitto. Nel caso maliano,come scriveva su Limes, la trappola sarebbe stata sfruttare il vuoto di potere in Mali, favorire la concentrazione delle forze jihadiste che hanno monitorato per anni e colpire.