Il guru californiano liberal Nathan Gardels ci fa osservare (Il Foglio, 22 gennaio) che il presidente del consiglio “tecnocratico”, non eletto ed estraneo alla politica, ha funzionato come un “interruttore automatico”, pronto ad esercitare la sua funzione al minimo accenno di cortocircuito economico; e che, già solo per questo, non si comprendono le ragioni delle tante astiosità che Monti ha incontrato negli ultimi tempi in Italia e all’estero.
Ora, a parte che non sempre uno strumento automatico può fronteggiare un’emergenza (penso ad un cardiopatico cronico che si trovi con un pacemaker che, per cause le più varie, d’improvviso s’arresti esponendo il malato a un rischio vitale), la simpatica immagine del professore americano ha un oggettivo limite proprio nella considerazione che questi fa circa la condizione attuale dell’Italia in una Europa che “ha il 7 per cento della popolazione mondiale, conta per il 24 per cento della produzione globale e per il 50 per cento della spesa sociale del pianeta”. Ciò significa che, con una comunità europea in cui regna sovrano l’euromarco, l’Italia non può salvarsi con una tecnica di contenimento dell’emergenza, bensì deve provvedere a ristrutturare l’intero suo sistema produttivo, sociale e commerciale, così da tentare di fronteggiare economie emergenti come la cinese, la brasiliana e la turca che “recuperano terreno ed erodono il dominio europeo sul fronte della produzione”, del welfare state, diventando più competitivi.
Tutto oggettivo, logico, convincente. Io non conosco i numeri relativi al peso specifico dell’Italia all’interno di un’Europa in seria depressione e nella quale il monetarismo sta soffocando la stessa democrazia, che non è un fatto tecnico, ma qualcosa di più complesso che non ha ricette sicure per affrontare alcuna emergenza. So però che, la nostra, è una economia marcatamente corporativa (lo stesso Monti l’ha riconosciuto e non ci dice come si debba intervenire perché il paese cambi improvvisamente volto). Che in essa, specie nell’ultimo anno, la produzione è regredita (e continua a calare per difetto di liquidità ed eccesso di costi sociali, non solo pubblici). Che l‘Italia vive in un sistema regolato da una concertazione che squilibra i rapporti di forza reali nella società a favore di estreme che non rinunciano a un decimillesimo dei loro privilegi consolidati e protetti appunto dal concertivismo. Resta competitiva nella qualità ma non nella quantità; ha raggiunto livelli di disoccupazione davvero elevati assieme all’aumento del tasso di povertà di famiglie e imprese; ha scelto, negli ultimi mesi, una politica estera sostanzialmente fatiscente e, nei fatti, succube del duopolio franco-tedesco che domina l’Europa, disinteressandosi dell’acciaio italiano, per dirne una.
Il professor Gardels non ignora tale situazione; anzi, avverte la cancelliera Merkel che essa rischia un default politico, se non si decide ad invertire la rotta nei confronti dei paesi più indebitati. Il problema italiano, però, non è solo di indebitamento pauroso (oltre tutto non diminuito negli ultimi quattordici mesi). L’Italia non ha più politica, annaspa in vecchie formule fallite più delle antiche.
Le circa duecento liste ammesse al vaglio elettorale imminente e le migliaia di aspiranti a poltrone parlamentari sono la rappre-sentazione reale della presunta “società civile”, con le sue corporazioni, i suoi clan (lo ammette anche Monti), i suoi moralismi, che si trasformano in veti e ostruzionismi. La tecnica non ha arrestato l’accidioso fenomeno della irresponsabilità. In queste condizioni e con una massa incredibile di liste e candidati, è problematico che, non Monti ma la prossima legislatura possa risolvere ciò che l’assenza di volontà politica tiene bloccato.