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Aziende italiane, perché non siete a Davos?

Ieri si è aperto il tradizionale World Economic Forum di Davos. Questo summit annuale, che riunisce ogni inverno in un paesino di montagna svizzero l’élite mondiale dell’economia, della politica e della finanza, non ha certo bisogno di presentazioni.

Un articolo già apparso su Formiche poneva l’accento sull’importanza dell’evento e dava conto dei rappresentanti del bel paese definendo come “consistente, rispetto ad anni passati, la rappresentanza italiana”.

Se sul versante istituzionale l’Italia garantirà l’illustre rappresentanza del Presidente del Consiglio, altrettanto non si può dire in merito alla presenza della classe imprenditoriale italiana.
Dando uno sguardo alle 78 pagine che compongono la lista dei partecipanti ci si accorge che solo una quindicina di multinazionali italiane è presente al Forum. Se le utilities e le banche non mancano con Enel, Eni (unica con tre rappresentanti), Intesa San Paolo e Generali, interi comparti dell’industria nazionale sembrano essere assenti. La presenza di Confindustria con Squinzi non compensa, infatti, assenze pesanti come il settore dell’auto (Fiat ?), l’agroalimentare (Ferrero ?), l’ICT (Telecom Italia ?), l’industria farmaceutica, la meccanica, la moda e il design (solo Geox presente) e ben altro ancora (Finmeccanica ? Italcementi ?).

La presenza italiana pare ancor più esigua se la si raffronta col numero di gruppi esteri nostri competitors sui mercati internazionali: quelli francesi presenti sono circa il doppio, mentre quelli tedeschi quasi il triplo.

Tale sottorappresentanza è più sinonimo di disenteresse dei manager nostrani per i grandi temi mondiali o semplicemente conseguenza delle ridotte dimensioni (e quindi ambizioni internazionali) delle nostre realtà?

Sicuramente entrambi i fattori hanno rilevanza, come altrettanto ha influito, in questi anni, l’assenza di una politica industriale capace di sostenere adeguatamente a livello internazionale i nostri campioni industriali.

Queste carenze hanno portato l’Italia ad essere gigante economico con piedi d’argilla poiché sembra confidare troppo nella forza delle sue piccole medie aziende, forse più resilienti ai venti di crisi che soffiano in Europa, ma meno attrezzate per capire ed approfittare le dinamiche ed opportunità dell’economia globale.

Forse é proprio questo il più grande insegnamento che ha oggi da offrirci Davos.



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