Pubblichiamo grazie all’autorizzazione dell’editore e dell’autore, l’editoriale di Pierluigi Magnaschi comparso sulla edizione odierna del quotidiano Italia Oggi diretto da Magnaschi
La Gran Bretagna guarda da sempre, con diffidenza, all’Europa continentale dalla quale, del resto, sono venuti tutti coloro che l’hanno dominata, dagli antichi romani ai francesi. Da quando è stata scoperta l’America, la Gran Bretagna ha visto, nella zona Nord del Nuovo continente, una sorta di dépendance sulla quale ha perso il controllo ma con la quale conserva una sorta di relazione privilegiata.
La Gb era (e in parte resta) allergica all’Unione europea tant’è che, pur potendo essere fra i Paesi fondatori della Ceca-Mec (in quanto vecchia democrazia e potenza vincitrice della seconda guerra mondiale), se ne guardò bene dall’aderire ai primi passi dell’integrazione europea che partì senza poter contare su Londra. Quest’ultima però si accorse che non poteva tagliarsi fuori dal graduale processo di abbattimento delle barriere doganali per cui si diede da fare per fondare l’Efta, che metteva insieme anche i Paesi nordeuropei che non si erano accodati a Bruxelles. L’Efta, anziché essere un progetto, era un dispetto nei confronti del Mec. E, come tutti i dispetti, finì in niente. Per cui Londra venne a Canossa con i Paesi del Mec che, lungi, a quel punto, dal porre condizioni precise per la ritardata e dubbiosa adesione della Gb, abbatterono il vitello grasso, come capita anche nella parabola del figliol prodigo, per accogliere una nazione che però non si presentava contrita (dopo aver bagordato altrove) ma che era anche schifiltosa. Per colpa dei Paesi storici, la Gb entrò nel Mec ma alle sue condizioni. Quelle cioè di un paese recalcitrante che sceglieva solo quello che le piaceva, rifiutando programmaticamente ogni ipotesi di approfondimento dell’integrazione fra i paesi aderenti, che è la sola condizione di sopravvivenza della Ue, come del resto è dimostrato dalla vicende dell’euro, una moneta senza i connotati di potere di cui essa dovrebbe essere la risultante.
Da tempo gli altri Paesi della Ue avrebbero dovuto mettere la Gb davanti alle sue responsabilità, chiedendole che gioco voleva fare e se si ostinava a voler giocare a cricket su un campo di football, sarebbe stato meglio chiederle di cambiare campo di gioco. Ma i Paesi europei fondatori sono flaccidi e temono di porre degli aut aut. Meno male che il premier David Cameron adesso vuol indire un referendum per chiedere agli inglesi che cosa vogliono fare della Ue. Sì o no che dicano, si uscirà dall’ambiguità. Finalmente.