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Perché Israele tornerà presto al voto

panella

La vittoria elettorale di Benjamin Netanyahu è un trionfo parziale riempito di domande: perché non è riuscito a mantenere il consenso popolare?, perché la sinistra ha conquistato tutto quello spazio – che non aveva prima – tra gli elettori?, ha sbagliato il Likud o sono stati i Laburisti a guadagnarsi il terreno? E soprattutto, cosa cambia per Israele dopo il voto?

Per rispondere a queste domande Formiche.net ha sentito Giulio Meotti, giornalista del Foglio Quotidiano diretto da Giuliano Ferrara e autore dei libri “Non smetteremo di danzare” (Lindau), un’inchiesta sui martiri di Israele che è stato tradotto anche negli Stati Uniti, e “Countdown. Storia preventiva dello strike di Israele contro l’atomica iraniana”, un ebook del Foglio.

Meotti spiega che una delle caratteristiche principali della campagna elettorale di Netanyahu è stata la centralità sulla sua figura. Niente proposte, idee o argomenti nuovi, ma soltanto il carisma personale del leader, che forse non è stato sufficiente. “’Mr. Security’, l’uomo che fermerà il nucleare iraniano e sosterrà una economia in crescita. Per gli israeliani della classe media, da sempre centristi in politica, questo non era abbastanza. Così molti hanno votato Yair Lapid, un volto nuovo, giovane, dinamico, che viene dai salotti buoni di Tel Aviv e che dà una certa sicurezza sulle riforme”, dice Meotti.

Secondo il giornalista e saggista, Netanyahu ha da sempre un problema con la destra religiosa e ha trascorso buona parte della campagna ad alienarsi voti della sua stessa formazione.

Sulla rimonta del partito di centro-sinistra, Yesh Atid, Meotti crede che per ora è un one man show, tutto ruota attorno al giovane brizzolato Lapid: “Resta da vedere se riuscirà davvero a incidere sul Paese. Il padre, Tommy, che era un formidabile gaffeur divertente e cinico, ebbe poca fortuna quando si trattò di assumersi delle responsabilità. Per adesso Lapid raccoglie il malcontento della middle class”, ha spiegato.

Yair Lapid è un noto giornalista. Si tratta di una moda (in voga anche in Italia) quella dei giornalisti-politici?
“I giornalisti sono di gran moda e hanno preso il posto dei generali con la divisa. Anche il Labour è guidato da una giornalista. Purtroppo le celebrities non hanno esperienza nel processo decisionale di sicurezza e di buon governo. Ma in fondo anche il sionismo nacque per l’intuizione di un giornalista, Theodor Herzl”.

Perché, invece, la proposta di Naftali Bennett si è ridimensionata e non ha ottenuto i risultati aspettati? I giovani – quella generazione alla quale voleva parlare con riferimenti pop e un linguaggio nuovo – non si sono lasciati conquistare soltanto dalla forma?
“Bennett non ha ottenuto il secondo posto, come sperava, ma il successo resta enorme, il suo partito ha quadruplicato i seggi in poche settimane. La sua proposta di fusione di laici e religiosi è pressoché impossibile in un Paese ‘tribale’ come Israele, in cui sette, gruppi, confessioni, blocchi di interesse da sempre rendono frammentata la società. L’unione è soltanto sul servizio militare, il vero cuore del Paese. Comunque Bennett assieme a Lapid è il vero vincitore delle elezioni, sono i due parvenu che hanno ottenuto i consensi più inaspettati”.

Con l’attuale quadro politico come sarà la dinamica in Parlamento? 
“Sarà il Parlamento più diviso, fragile e in bilico della recente storia israeliana. Tra due anni forse torneranno al voto”.

Quali sono le prospettive del tema religioso dopo queste elezioni?
“Sulla leva dei religiosi, Netanyahu e Lapid lavoreranno assieme per una soluzione, l’israeliano medio non tollera di farsi carico del peso della difesa del paese o delle sue tasse. È stato il tema decisivo in queste elezioni”.

E il conflitto israelo-palestinese? 
“Non ci sono prospettive realistiche sui palestinesi. Lapid ne ha parlato pochissimo e chi invece ha puntato tutto sul negoziato, come Tzipi Livni, è stato punito alle urne. La questione palestinese sta diventando irrilevante, almeno per ora”.

Il 2013, invece, sarà l’anno decisivo sull’Iran nell’agenda israeliana: o Teheran fabbrica la bomba o Israele bombarderà i suoi siti, secondo Meotti. Il premier Netanyahu ha bisogno di un governo forte per affrontare a livello internazionale uno scenario militare sempre più probabile. Per Meotti, il leader di Likud non potrà agire da solo: molto dipende da cosa farà Barack Obama dall’altra parte dell’Oceano.



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