In vista del prossimo appuntamento elettorale la sfida politica si giocherà anche sul web. Certo, in Italia appena il 21% dei parlamentari aveva un sito o una presenza su Twitter un anno fa, contro l’83% della media del resto del mondo, e ne faceva un uso ben poco “2.0”, privo di dialogo a due sensi con l’utente, come ha rivelato lo studio “Parlamento 2.0” curato da Sara Bentivegna dell’Università romana La Sapienza.
Oggi la presenza sui social media è sicuramente aumentata, ma un’analisi pubblicata dal Corriere delle Comunicazioni conferma che pochi politici hanno capito l’evoluzione del cittadino/elettore, non più “passivo in salotto armato del telecomando” ma “partecipante in mobilità alla produzione/verifica delle informazioni” – anche se molti attori della politica starebbero già approfittando dell’assenza sul web della par condicio, indica l’autore dell’articolo, Pierdomenico Garrone del Comunicatore Italiano.
Gli stessi cittadini italiani non sono ancora tutti dentro la rivoluzione di Internet. Per il “Web Index 2012” della World Wide Web Foundation, l’impatto politico della Rete sulla società ha un punteggio di 92.54 su 100 negli Usa, ma solo di 47.33 su 100 in Italia; l’84% degli iscritti ai social network da noi ha postato “poco o nulla” a carattere politico.
Questo non vuol dire che la situazione non evolva e che occorra essere più che mai consapevoli nel creare e ricevere la comunicazione (stiamo diventando un po’ tutti “Social media influencer“…). Chi vuole usare i social media per dialogare deve mostrarsi “attivo, interattivo, credibile” e cercare di offrire informazione di qualità; gli utenti però dovranno affinare i loro filtri e le capacità critiche, per parare gli assalti, più o meno evidenti, dei guru dell’advertising e del marketing. Non solo politico.