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Stiamo messi male

Dopo tredici mesi di alti propositi innovativi in nome dell’alterità procedurale e della neutralità politica, siamo tornati al punto di partenza bipolare, di un gradino ancora più basso di quello che c’era. Colpa del porcellum conservato, ci si giustifica; senza però spiegare i mesi consumati per sostituirlo pervenendo – si giurava – a un centimetro da un cambiamento condiviso. Punto di domanda: c’era bisogno di tanto clamore, di riduzione del paese ad una condizione di Stato vassallo di un’Europa monetaria manovrata da burocrati lontanissimi dallo spirito rinascimentale e risorgimentale di Adenauer, De Gasperi e Schuman?

Un bipolarismo autentico, democratico, cioè condiviso dal massimo possibile di elettori-cittadini, in Italia non c’è mai stato. La scimmiottatura delle primarie americane e delle parlamentarie alla sovietica non ha migliorato né lo strumento di selezione d’una classe dirigente – riconoscendo al cittadino e non alla nomenclatura lo scettro del potere -, né la qualità dello scontro politico, giunto a livelli di bassezza inqualificabili.
Obbiettivamente, senza malanimo verso alcuno, si deve ammettere che il progetto tecnico che doveva fermare lo spettacolo degradante di una politica sparita dall’agenda pubblica e trasformatasi in lotta di fazioni senza più arte né parte, è completamente mancato alla sua funzione equilibratrice: non ha risolto la piaga del buco economico; ha allontanato ulteriormente, causa un fiscalismo scellerato, la società dal potere; ha suscitato nuove ambizioni alle già troppe esistenti sul mercato; non ha minimamente accennato a riforme ordinamentali, collocate negli ultimi secondi dell’ultimo telemessaggio presidenziale e neppure rilevate da media pur densi di luoghicomuni rassicuranti.

In questo bipolarismo scombinato e peggiorato si è caduti anche per calcoli elettorali provenienti da talune illusioni e azzardate previsioni. L’ultima consultazione amministrativa ha indotto qualcuno, abituato a vecchi giochetti provinciali, a ritenersi vincitore con due anni d’anticipo sul voto, così da provocare la ragione sostanziale dello stallo riformatore in materia elettorale. Contestualmente, l’altro polo, in evidente crisi d’identità, ha preferito la via transitoria di una grande coalizione parlamentare monca di qualsiasi, pericolosa collocazione politica, piuttosto che tentare rimonte preventive (e non rischiosamente tardive) attingendo da quel consolidatissimo blocco astensionistico, che è la vera novità della prossima consultazione.

La sinistra ha da recuperare dall’astensionismo molto meno di quanto può sperare di ricavarne la destra, mentre tutt’e due i vecchi poli si sono andati ulteriormente irrigidendo sulle relative estreme. Con la differenza che oggi ci sono nuove grandi ambizioni provenienti da gruppi di ultrasinistra, mentre parte dell’ultradestra è confluita in un centro diventato un luogo geografico e difettoso, privo di un giustificabile richiamo politico; tutto ciò in una fase in cui l’insignificanza politica dei cattolici autonomi continua a crescere ma non necessariamente confondendosi nel vastissimo astensionismo.
Un bipolarismo peggiore del vecchio e criticatissimo insorto nel 1994; un centro di intramontabili «giovani» e di personalità prive di senso della politica e dello Stato; due estreme giustizialiste che si sentono padrone del campo, e quasi metà degli elettori non folgorati né dai poli cadenti né da quelli crescenti, non costituiscono un buon viatico per l’appena avviata campagna elettorale, né per la vitalità della prossima legislatura. Spero di sbagliarmi.

 

 


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