Pubblichiamo un articolo uscito su Affari Internazionali
L’intervento militare della Francia in Mali rappresenta il primo caso di uso della forza in uno scenario internazionale da parte della presidenza di Francois Hollande. L’iniziativa evidenzia la continuità della politica francese, ma pone anche una serie di problemi. In quanto ex colonia (una volta chiamato Sudan francese), il Mali rientra nella sfera di influenza francese in Africa.
Hollande rivendica invece una presidenza “normale”, sciogliendo la “cellula diplomatica” dell’Eliseo e trasferendone le competenze per l’Africa al ministero degli esteri e dello sviluppo. Questa linea è testimoniata dalla nomina dell’attivista Pascal Canfin al ministero dello sviluppo e nel tono misurato adottato da Hollande a Dakar, nel corso della sua prima visita nel continente, in cui ha esaltato la trasparenza e la promozione della democrazia. Dopo questa fase di annunci, la presidenza di Hollande si misura in Mali con la sua prima esperienza di gestione di crisi nel continente.
Il Mali raffigura un intreccio di interessi e percezioni per la Francia. Il primo elemento riguarda le problematiche di sicurezza regionale e internazionale. Il connubio fra tuareg e islamisti quaedisti nel Nord del Mali rappresenta una minaccia per l’insieme dei Paesi occidentali, creando una potenziale zona franca terroristica nel retroterra del Mediterraneo. Questa analisi è largamente condivisa dagli alleati della Francia, a partire dagli Stati Uniti molto sensibili al tema in seguito all’assassinio dell’ambasciatore Stevens a Benghasi.
La Francia vuole quindi apparire al vertice della gestione internazionale della questione Mali. Alcuni interessi prevalentemente nazionali rafforzano questa decisione. La Francia vuole rimanere credibile in Africa e quindi mostrare la capacità di indirizzare e proteggere regimi amici come quello del presidente maliano Dioncounda Traore. Inoltre nel vicino Niger la società francese Areva sfrutta miniere di uranio, il che rafforza l’importanza strategica della stabilità della zona.
L’accelerazione dei tempi di intervento è un altro indicatore della volontà di leadership francese. Da mesi vari attori stavano lavorando a una soluzione diplomatica per il nord Mali, prendendo anche in considerazioni le rivendicazioni tuareg, i problemi di sottosviluppo e l’insoddisfazione della popolazione verso i barcollanti governi di Bamako. Questo approccio comprensivo mirava a tessere un consenso interno ed esterno per migliorare la situazione del nord Mali, prendendo in considerazione le posizioni degli attori regionali, Comunità economica degli Stati dell’Africa occidentale (Cedeao) e Algeria in testa.
Va preso atto del gesto militare di Hollande, un atteggiamento nazionale che spesso irrita i partner europei e fa discutere. Superate queste valutazioni di stile, bisogna adesso contribuire con pragmatismo al miglioramento della sicurezza nella zona.
Jean-Pierre Darnis è professore associato all’università di Nizza e responsabile di ricerca dell’Area sicurezza e difesa dello Iai.
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