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Il caso Mps influenzerà anche la corsa al Quirinale

Lo scandalo Monte Paschi quasi certamente avrà conseguenze di portata ampia. Sulle elezioni parlamentari, certo, se non altro perché il caso è scoppiato in perfetto sincronismo con l’imminenza del voto. Sull’assetto complessivo del sistema finanziario italiano, forse, dato che quello di Mps è un caso limite di cosa può andare storto quando l’intreccio tra banche, politiche e fondazioni si fa molto stretto e duraturo.

A ben vedere, tuttavia, le schegge della bomba Montepaschi potrebbero colpire anche la corsa al Colle. Una corsa che avviene in condizioni particolari – ma da quanto tempo non si vedono più condizioni “normali”? –  in cui alcuni dei candidati finora ipotizzati sono sì veterani della politica e delle istituzioni ma attualmente assorbiti da altre attività, alcune delle quali lucrative. In linea di principio niente di male, ma resta da capire come conciliare il business e la più super partes tra le istituzioni del nostro Paese, come scongiurare un conflitto di interessi sul più alto dei colli romani.

Il caso Montepaschi aggiunge un ulteriore elemento di complessità alla partita per il Colle. Quanti dei possibili candidati sono in qualche maniera accostabili al dossier Mps? E – si badi – l’espressione “in qualche maniera” non è casuale. Quella per il Quirinale è una contesa particolarmente aspra, per nulla priva di colpi bassi. D’altra parte, la storia della Prima Repubblica è pur piena di candidati illustri caduti sotto i veti incrociati e le insidie del voto a scrutinio segreto, e di seconde linee miracolate. La vicenda Mps, particolarmente lunga e articolata, offre molti spunti per chi volesse “bruciare” candidati. Rischiano, quindi, i candidati che si sono caratterizzati per vicinanza ai temi delle fondazioni bancarie. Rischia, poi, chi conta fedelissimi della sfera senese tra le proprie fila, o chi in passato si è esposto sui mezzi di informazione sulle partite che hanno visto banche e politica a braccetto.

La questione si fa ancora più tortuosa se si considera il meccanismo di elezione del Presidente della Repubblica, che viene votato dalle Camere riunite in seduta comune. Ipotizziamo a questo punto che il Pd riesca, grazie al Porcellum, a disporre di un’ampia maggioranza alla Camera. Ipotizziamo poi che al Senato non vi sia una maggioranza assoluta del Pd. Ebbene, a detta di diversi osservatori, il Pd potrebbe avere un numero di parlamentari (deputati e senatori, dato che le camere sono riunite) sufficiente a eleggere da solo il Presidente della Repubblica. In questo scenario, a fare la differenza è sicuramente il “fuoco amico”. I candidati di punta del Pd, infatti, dovrebbero guardarsi dai propri colleghi di partito. E non è detto che proprio la vicenda Mps possa diventare un’arma in questa contesa.

Francesco Galietti


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