Skip to main content

Il prelievo (fiscale) toglie il sangue all’Italia

Grazie all’autorizzazione dell’editore e dell’autore, pubblichiamo il commento di Edoardo Narduzzi apparso sul numero odierno del quotidiano Italia Oggi diretto da Pierluigi Magnaschi.

Sicuramente è la medaglia di bronzo internazionale meno gradita agli italiani. Quella da avere sul petto con orgoglio, forse, soltanto se la qualità della spesa pubblica fosse vicina a quella di Danimarca e Svezia, le due economie supermedagliate dell’Ocse per livello di pressione fiscale annua sul Pil. Invece per l’Italia la rincorsa al prelievo fiscale è l’altra faccia della medaglia di una recessione che affonda l’illusione italica di avere una spesa pubblica corrente di 4 punti di prodotto interno lordo annuo superiori a quella della Germania, una pubblica amministrazione che impiega fino a due anni a pagare le fatture dei suoi fornitori e una pianta organica pubblica pietrificata all’epoca di Max Weber e della tecnologia che fu.

Il superamento, nel corso del 2013, della barriera del 45% nel rapporto tra il totale del gettito fiscale e il Pil fa entrare l’economia italiana nella terra di nessuno, perché la colloca quasi 12 punti percentuali al di sopra della media Ocse e prima di Norvegia, Francia e Olanda in questa classica dello sviluppo impossibile.

Come può crescere il Pil italiano se le sue imprese o i suoi cittadini scontano quasi 10 punti di pressione fiscale sul Pil più della Germania? Ed è sostenibile per l’economia italiana in recessione un prelievo tanto più alto di quello della Spagna che nel 2013, dopo le varie manovre di aggiustamento degli ultimi due governi iberici, sarà pari al 35% del Pil? A queste domande dovrebbero seriamente rispondere con proposte compiute le varie forze politiche in campo per gestire il Paese nel prossimo quinquennio, perché l’Italia con la sua spesa pubblica di scarsa qualità, nel contesto competitivo globale contemporaneo, non può più permettersi la facile demagogia o il populismo fiscale come ricetta per ogni male del Paese.

In un contesto globale nessun capitale investe in un mercato dove la fiscalità preleva il 45% del valore prodotto e i servizi pubblici erogati sono quintomondisti. La stagione delle facili illusioni e delle scelte in disavanzo sulle generazioni future è archiviata per sempre dalla globalizzazione. O si fa un’Italia dalla pressione fiscale in linea con la media Ocse o muore il Pil.


×

Iscriviti alla newsletter