È atteso per domani il discorso di David Cameron sui rapporti tra la Gran Bretagna e l’Unione europea. Nelle anticipazioni circolate nei giorni scorsi non si esclude che Londra possa addirittura optare per un’uscita dal blocco europeo, previo referendum di cui però non sono ancora ben chiari i quesiti. Circostanza che ha spinto gli stessi Stati Uniti a pressare l’alleato affinché rimanga nell’Unione. Il discorso era inizialmente previsto per venerdì scorso ad Amsterdam, una conferma della consuetudine di Cameron di parlare all’Europa da una delle città continentali e in questo caso da uno dei Paesi fondatori dell’Ue. Ma la crisi degli ostaggi in Algeria e le celebrazioni per il 50esimo anniversario del Trattato dell’Eliseo tra Francia e Germania hanno fatto slittare l’appuntamento.
La strategia di Cameron, scrive Stratfor, è in parte una reazione alla politica interna. Parte dei conservatori è convinta della necessità di abbandonare il blocco europeo. Si teme per l’avanzata dello United Kingdom Indepence Party, forza politica tradizionalmente euroscettica che alle elezioni del 2010 prese appena il 3,1 per cento dei voti, ma il cui sostegno è dato ora dai sondaggi tra l’8 e il 14 per cento. Abbastanza da incalzare i liberaldemocratici del vicepremier Nick Clegg, filoeropeisti, come terzo partito dietro a conservatori e laburisti e proporsi come alternativa alle formazioni tradizionali, come sta avvenendo a forze politiche simili in altri Paesi europei.
Secondo quanto anticipato nei giorni scorsi, il primo ministro solleverà le tre principali questioni che affliggono l’Unione: i cambiamenti in Europa per le difficoltà nell’eurozona, la crisi di competitività del Continente e soprattutto il crescente divario tra istituzioni europee e cittadini. Da queste premesse parte l’ipotesi di rinegoziare il ruolo di Londra per riportare a sé quanti più poteri.
L’ultimo sondaggio YouGov evidenziava come dall’inizio della legislatura i favorevoli a restare nell’Unione (40 per cento di quanti hanno risposto) abbiano superato gli elettori pronti ad abbandonare Bruxelles (34 per cento). La percentuale degli indecisi è però del 20 per cento.
Come nota Stratfor, sulle posizioni britanniche pesa l’idea che il governo abbia ceduto troppa sovranità alle istituzioni europee senza che i costi siano compensati dai benefici. Un esempio, scrive la società privata d’intelligence, è la politica comune agricola con le campagne britanniche che usufruiscono soltanto in parte dei sussidi o la politica sulla pesca che costringe la Gran Bretagna a condividere le proprie acque.
Londra è però uno strenuo difensore del mercato comune. Quattro delle prime cinque destinazioni di merci britanniche sono Paesi europei: Germania, Paesi Bassi, Francia e Irlanda. Secondo Stratfor per alcuni critici la soluzione sarebbe un’uscita dalla Ue per restare comunque nello spazio economico europeo di cui fanno parte anche Stati non membri come l’Islanda e la Norvegia.
Ma come emerso dalle anticipazioni, il primo ministro sta calibrando le sue critiche non tanto sulla sovranità quanto sulle questioni sociali, ossia sui temi più sentiti dai cittadini frustrati dalle misure di austerità contro cui da più parti si stanno levando le critiche. Una strategia che potrebbe fare del governo di Londra un rivale di Berlino come capitale guida, ma con una visione alternativa dell’Europa. Dovrà però fare i conti con la possibilità che i propri veti cadano inascoltati come per l’opposizione al patto di bilancio cui la Gran Bretagna non aderisce e che semplicemente fu firmato da 25 Paesi su 27 con la sola Repubblica Ceca a condividere il parere contrario dei britannici.