Quella odierna, in Mali, è una delle più gravi e pericolose crisi politiche sin dalla data dell’indipendenza dalla Francia, avvenuta nel 1960.
Nell’aprile del 2012 un gruppo di guerriglieri, di cui alcuni con legami con la rete di Al Qaeda, è riuscito ad assumere il controllo di una vasta porzione geografica del territorio nel nord del Paese. Il fenomeno era peraltro già in atto da tempo, e costituì – almeno ufficialmente – il motivo per un colpo di mano politico da parte dei militari nel mese di marzo dello scorso anno.
I militari, tuttavia, hanno acconsentito a un rapido ritorno di un nuovo governo civile, che ha portato alla carica di presidente ad interim il settantenne Diancouda Traore, membro del partito Alleanza per la Democrazia nel Mali e politico navigato.
Si è ritirato invece in buon ordine l’ufficiale golpista che aveva decretato la fine del precedente governo a marzo, il capitano Amadou Sanogo. Questi, nonostante l’ampia pubblicità negativa seguita alla breve presa di potere, è un uomo carismatico e stimato in gran parte del mondo politico e militare maliano. Fu tra i pochi militari a non fuggire nei mesi passati dall’avamposto di Kati, che difese dagli attacchi dei guerriglieri mantenendo unite gran parte delle forze sotto il suo comando. Ed evitando in tal modo un disastro peggiore per le autorità di Bamako.
Chi sono i ribelli?
La compagine delle forze che ha occupato le aree settentrionali del Paese è alquanto eterogenea, e solo parzialmente collegata alla galassia delle forze jihadista di ispirazione qaedista.
La gran parte delle forze ribelli è di etnia Tuareg, e si raggruppa sotto le due sigle maggioritarie del Mnla (National Movement for the Liberation of Azawad) e del Iad (Islamist Ansar Dine).
Una buona componente delle forze di opposizione, quindi, è impegnata nella rivendicazione di una porzione di territorio compreso tra il Mali, la Libia, l’Algeria, il Niger e il Burkina Faso, che i tuareg chiamano Azawad. Non quindi un jihad (guerra santa) contro l’eresia e gli infedeli, quanto più la ricerca di un’autonomia a lungo negata.
Nell’ambito di queste istanze, tuttavia, si è inserito nel corso degli ultimi due anni una sempre più consistente componente ideologica islamista, sia locale (come quella rappresentata dall’Iad), sia esogena, favorendo in questo modo l’ingresso nel Mali di un gran numero di combattenti provenienti da tutti i fronti d’azione della galassia jihadista internazionale, e soprattutto quella che si identifica in Al Qaeda.
Alla componente islamista si sono poi aggiunti col tempo gruppi autoctoni minoritari, come il Mujao (Movement for Unity and Jihad in West Africa) e singole componenti di tribù, sul cui reale spirito di partecipazione ideologica è difficile esprimere un giudizio certo.
L’insieme delle forze che si è unita per prendere il controllo delle regioni settentrionali, quindi, è estremamente eterogenea e numerosi sono stati i casi di conflitto all’interno di questa compagine.
Quella che genericamente in Occidente viene letta come una guerra di matrice religiosa, ha quindi al contrario una radice più complessa ed articolata, essenzialmente divisa tra la rivendicazione territoriale ed etnica, e l’istanza ideologica di riconoscimento di un califfato locale.
Tra i principali vertici politici e militari dell’Mnla spiccano il segretario generale Bila Ag Cherif e il comandante militare Mohammed Ag Najim, e la semplice lettura dei loro discorsi lascia intendere come la causa ideologica dell’Islam non faccia parte in alcun modo dell’agenda del loro gruppo. Che tuttavia si è trovato, e spesso si trova, a condividere con l’Iad la gestione degli affari militari sul campo, in un connubio di interessi nel quale solo la terra rappresenta un elemento di visione comune.
Molti dei miliziani al servizio delle varie componenti dell’opposizioni hanno combattuto nel recente conflitto di Libia, portando in Mali un baglio di esperienze e capacità che è risultato determinante nella lotta contro le autorità e le forze di Bamako. Dalla Libia sono state portate anche ingenti quantità di armi e munizioni, che continuano a fluire costantemente attraverso i sempre più permeabili confini.
L’IAD ha invece saputo approfittare della situazione sul terreno per assumere il controllo delle tre principali città del nord, Timuctù, Gao e Kidal, assicurandosi così non solo un vantaggio logistico e strategico, ma anche una visibilità maggiore sui media internazionali.
La teatralità del dominio sulle città, con l’imposizione della Sharia e la manifestazione di sostegno alla rete di Al Qaeda, hanno quindi rapidamente trasformato l’intera crisi del Mali in una crisi di matrice religiosa. Relegando le forze etniche ed indipendentiste dei tuareg a mera marginalità.
L’obiettivo dell’IAD, infine, non è quello dell’indipendenza del nord del Mali, ma la conquista e la dominazione dell’intero Paese nel segno dell’Islam e dell’applicazione più rigorosa e tradizionale della Sharia.
La guerra della Francia
La Francia, che storicamente ha esercitato un ruolo politico nella regione, senza di fatto mai abdicare alla sua vecchia concezione coloniale, ha deciso di intervenire al fianco delle autorità di Bamako nella lotta ai guerriglieri del sud, con una missione militare affidate alle proprie forze aeree.
Grazie al supporto aereo francese sono state arrestate le forze dell’opposizione che muovevano verso il sud del paese, e colpite in profondità le linee logistiche e di rifornimento. Non è stato inferto un colpo mortale all’opposizione, ma certamente sono stati arrestati i piani per una più rapida ed incisiva penetrazione a sud.
Le stesse autorità francesi si sono dimostrate caute circa l’esito dell’operazione, affermando apertamente coma la stessa sia complessa ed alquanto delicata.
L’intervento è propedeutico per l’arrivo delle truppe del contingente multinazionale africano avallato dal Consiglio di Sicurezza dell’Onu, e che avrà il compito di ripristinare il controllo politico ed amministrativo del paese, in quella che si preannuncia una lunga e difficile transizione.
Difficile prevedere l’esito dell’operazione in corso, così come l’effettiva capacità di mettere in fuga le forze ribelli nel nord del paese. Lo scenario più verosimile, almeno al momento, è quello di una temporanea stasi cui seguirà presumibilmente una trasformazione del conflitto in chiave “somala”. Non quindi una guerra guerreggiata, quanto una interminabile e sanguinosa sequela di attacchi a sorpresa, attentati ed imboscate. In attesa che qualcuno individui una via d’uscita politica che comprenda un accordo con la componente dell’MNLA.
Nicola Pedde
Director Institute for Global Studies