Dopo la condanna senza appello del procuratore aggiunto del tribunale di Milano Ilda Boccassini, nuove parole di fuoco per Antonio Ingroia. La sua evocazione di Giovanni Falcone domenica a un comizio, “le battute e le velate critiche espresse da alcuni magistrati ieri in occasione dell’inaugurazione dell’anno giudiziario per la mia decisione di candidarmi sono un copione che si ripete. Fu così anche per Giovanni Falcone”, hanno suscitato critiche. A cui si aggiunge quella che scandisce a Formiche.net Calogero Mannino, avvocato penalista, più volte ministro democristiano, deputato uscente.
Onorevole, è d’accordo con la Boccassini che ha definito “vergognoso” il paragone con Falcone?
Con molta sorveglianza delle mie parole, dico che il giudizio della dottoressa Boccassini è quanto merita Ingroia. Non vi è nessuna ragione per cui si ritenga mezzo di quel brocardo che recita “si parva licet componere magnis” (se è lecito paragonare le cose piccole alle grandi, ndr). E’ veramente troppo piccolo, soltanto una figura che starebbe bene in un romanzo di Dostoevskij per confrontarsi con l’altezza morale e intellettuale di quella grande figura che è stato Giovanni Falcone. Quella è stata una tragedia, questa di Ingroia è una piccola commedia, anzi una farsa.
La discesa in campo di Ingroia ha riaperto la questione sul fatto se sia legittimo o meno per un pubblico ministero scendere in politica.
In linea di principio nessun divieto assoluto può essere dato a chi esercita una magistratura di entrare in politica e di passare non soltanto da un capo all’altro di un’attività umana ma da un livello istituzionale a un altro, dal giudiziario al legislativo. Questo è il punto più delicato perché il pubblico ministero nell’ordinamento giudiziario italiano è un magistrato, non un avvocato dello Stato, e ha un potere incondizionato com’è quello dei giudici. Passando in politica lo esercita quindi fuori da ogni senso del limite e da ogni regola.
Nel caso di Ingroia nello specifico?
La decisione di Ingroia di candidarsi dopo qualche settimana di finta uscita dalla procura della Repubblica di Palermo e per di più nello stesso collegio elettorale del distretto giudiziario in cui ha esercitato la sua funzione e cioè in una condizione di assoluta ineleggibilità, è un fatto grave.
Ci sono differenze con la scelta di candidarsi da parte del procuratore nazionale antimafia Piero Grasso con il Pd?
Sono modalità diverse ma anche nel caso di Grasso se fossi stato in lui mi sarei astenuto dal passaggio diretto dalla superprocura a una candidatura politica. È uno sconfinamento che comunque va disciplinato non soltanto con regole più rigorose del conflitto di interessi ma soprattutto con regole più severe del conflitto istituzionale.
Lei ha definito quella di Ingroia una piccola commedia, una farsa. Ma essa rischia di fare paura al Pd…
Questa farsa fa paura a tutti, almeno fino a quando non si avrà il coraggio di dire pane al pane e vino al vino. Fino a questo momento, nessuno ha avuto il coraggio di dire che Ingroia non poteva istruire un processo, in cui sono imputato, lasciarlo a metà strada e renderlo una quinta di scena elettorale. Ma per farlo capire ci basta Crozza?