Né lotte di potere né motivazioni politiche. Se si vuole andare alla radice della violenza tra i cartelli messicani, occorre guardare ai conti in banca e al cuore dei loro affari, scrive Stratfor.
È il commercio della cocaina la bussola che guida l’azione internazionale dei cartelli. La società di analisi specializzata in intelligence ha pertanto ricostruito la storia e la catena economica del coinvolgimento messicano in questo traffico.
Un commercio non a chilometro zero, dove ad ogni passaggio la merce acquista valore. Secondo i dati dell’Ufficio Onu per la lotta contro il crimine e la droga, i coltivatori di foglie di coca colombiani sono pagati 1,30 dollari al chilo, in Perù e Bolivia dove le foglie sono essiccate prima di essere vendute il prezzo sale a 3 dollari. Per un chilo di base di cocaina servono tra i 450 e i 600 chili di foglie a seconda della varietà usata. Questo dovrà essere ulteriormente processata per ottenere quella che comunemente si intende per cocaina.
Stratfor cita dati della polizia colombiana. Nella giungla un chilo di cocaina può costare 2,200 dollari, sale a 5mila o 7mila nei porti colombiani e il prezzo continua a crescere ma mano che si avvicina al mercato dei consumatori. Nelle zone di confine del Messico settentrionale arriva a 16mila dollari, negli Usa varia tra i 24mila e i 27mila dollari per arrivare oltre i 50mila in Europa. Lo stesso vale per i prezzi al dettaglio.
La purezza è inversamente proporzionale. Le ricerche dell’Unodc e della polizia colombiana hanno dimostrato che se la cocaina che lascia il Paese è all’85 per cento nel Regno Unito è del 60 e giù a scendere, scrive Stratfor.
Entrati nel mercato degli stupefacenti con il proibizionismo statunitense verso la marijuna nei primi decenni del Novecento, i gruppi criminali messicani iniziarono a trafficare cocaina alla fine degli anni Settanta, come spalla dei più potenti cartelli colombiani di Medellin e Cali. All’epoca il Messico era una via secondaria rispetto ai Caraibi.
