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L’Fmi ha toccato troppo il freno senza accorgersene?

Il primo studio del 2013 pubblicato dal Fondo Monetario Internazionale potrebbe essere accompagnato da questo commento: aveva ragione l’Amleto di Shakespeare quando recitava il suo “essere o non essere, questo è il problema” perché esattamente come Amleto viveva le sue incertezze esistenziali al punto che, giunto a colloquio con il fantasma del padre, teme possa non trattarsi di lui, e sospetta trattarsi addirittura di inganno, così il dubbio attanaglia ora i responsabili della politica economica mondiale privati come sono della sicurezza di poter comprendere per quale motivo gli effetti frenanti sul reddito delle politiche fiscali restrittive da loro messe in atto siano stati ben maggiori di quelli ipotizzabili sulla base dei valori stimati prima della loro attuazione.

Insomma, benché la riduzione del debito fosse una iniziativa oramai obbligata e un obiettivo sacrosanto di politica fiscale di medio e lungo termine, ci si aspettava che l’impatto di freno su consumi e reddito fosse inferiore; più precisamente i ministri delle finanze ritenevano che il coefficiente di trasmissione delle restrizioni fiscali fosse, sulla base delle rilevazioni storiche, dello 0,5 % mentre è stato nella realtà dei fatti, cioè a consuntivo, ben al di sopra dell’1 %. Scusate se è poco.

Stiamo parlando di un valore doppio rispetto alla stima per ciò che concerne gli effetti deflattivi sull’economia, ossia di un errore di circa il 100 %. E’ stato un pò come toccare il freno di una macchina e invece di rallentare gradualmente la velocità, la vettura si fosse immediatamente piantata con le quattro ruote sulla strada lasciando evidenti tracce di pneumatici sull’asfalto. In qualche caso la vettura ha preso anche a sbandare in modo incontrollato.

I fiscalisti (perché non di macroeconomisti dobbiamo parlare) ancora non sanno se a causare questo fenomeno sia stata la dimensione troppo ampia e repentina dei provvedimenti da loro posti in atto per il consolidamento del debito o, come appare ogni giorno più probabile, la sottostima (e perciò l’errata valutazione) del fattore moltiplicatore degli effetti frenanti dell’aumento del carico fiscale, che per somma di disgrazie si è accompagnata anche ad una forte restrizione del credito in molti Paesi.


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