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L’immobiliare si fa social. In America parte la prima iniziativa

L’idea di Dan e Ben Miller, due fratelli di Washington e figli del noto costruttore locale Walker, è a metà tra il crowdfunding e il microcredito: cercare le risorse finanziarie per riqualificare il patrimonio immobiliare locale tra i membri della comunità che ci vive. L’intuizione, come raccontano in una recente intervista apparsa sulla rivista americana Atlantic Cities, è nata da un semplice ragionamento: negli ultimi anni si è andato consolidando un trend che crea una sempre maggior distanza tra gli investitori interessati esclusivamente al rendimento finanziario e il progetto finale. In altre parole dato che la maggior parte dei finanziamenti al settore immobiliare proviene da Wall Street, i progetti locali finiscono spesso per essere ignorati a vantaggio di centri commerciali con un collaudato profilo di rischio rendimento.

Così paradossalmente è più facile che sia aperta una linea di credito a favore di un nuovo strip mall piuttosto che a vantaggio di un supermercato locale desideroso di espandere la propria attività. E sempre più spesso, sopratutto con la contrazione economica degli ultimi anni, il risultato è che il nuovo strip mall rimane semi-vuoto mentre il supermercato locale resta di dimensioni troppo ridotte per poter servire adeguatamente il quartiere. Una situazione in cui perdono tutti.

Secondo Fundrise, la società dei Miller, il primo passo per invertire questo trend è tagliare fuori l’intermediario, il broker o chiunque altro si frapponga tra l’investitore e la proprietà immobiliare in modo da ripristinare un interesse diretto tra risorse finanziarie e crescita della comunità. Il motivo è semplice: chi vive in una determinata realtà conosce il territorio, è al corrente delle attività e della reputazione di chi promuove un progetto, è in grado di giudicare le sue competenze qualitative al di là dello scoring assegnato da un algoritmo per la valutazione del merito di credito e riesce a comprendere meglio di chiunque altro se una determinata idea può avere successo o meno. E’ andata così per una palazzina a due piani su avenue H, strada a nord est di Washington D.C. Dismessa e abbandonata da anni nessuno aveva trovato i fondi per ristrutturarla finché Fundrise ha deciso di puntare su questa iniziativa per dimostrare la bontà del suo modello di sviluppo. Poi nell’agosto scorso il lancio: a sorpresa in un mese i residenti del quartiere hanno investito 325 mila dollari che sommati ai 500 mila già messi giù dai Miller hanno garantito il pronto avvio dei lavori. Ma nonostante la success story non tutti sono convinti. Secondo alcuni il buono risultato di Dan e Ben si regge in gran parte sulla forza finanziaria dell’azienda del padre e sul buon esito dei precedenti investimenti dei fratelli che in caso di fallimento del crowdfunding avrebbero comunque potuto colmare il buco e garantire la ristrutturazione.

Per di più secondo i critici non tutti sarebbero disposti a spendere tempo e denaro per investimenti con un margine minimo e non garantito anche se l’idea di fondo è ammirevole. E non a caso uno dei motivi per cui Wall Street sceglie di investire prevalentemente nei centri commerciali è che se anche un investimento non va a buon fine per gli altri il ritorno rimane comunque elevato. La speranza per la startup di Washington è che dopo il primo progetto (avenue H sarà completato nella primavera 2013) la credibilità acquisita agisca da volano per lanciare progetti simili. I Miller hanno dichiarato di avere in cantiere una serie di altre iniziative basate sullo stesso ethos e di essere stati contattati da diverse società del settore oltre che da Eric Garcetti, candidato sindaco alle prossimi municipali di Los Angeles, interessato a usare l’esperimento di avenue H come modello sul quale ricostruire i quartieri malmessi della città.

L’idea c’è, il tempo, il denaro e il lavoro per renderla fattibile sono stati messi e anche se non sarà la rivoluzione del settore immobiliare che Ben e Dan si figurano è un valido tentativo che nel piccolo può dare risultati tangibili.

Questo articolo è originariamente apparso su: il Foglio


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