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Il nuovo impero del Mali

Guerra al ter­rore o guerra per l’uranio? Guerra per conto di Obama che vuole impedire un Afghanistan africano prima di uscire dall’Afghanistan asi­atico? O un’altra avventura francese a difesa delle ultime ves­ti­gia dell’impero?

L’intervento di Hol­lande in Mali viene crit­i­cato da più parti, alla ricerca di arrière pen­sée (non pro­prio nascosti del resto) e ammaes­trati dai pas­ticci che ha provo­cato l’avventato inter­vento di Sarkozy in Libia. E molte delle polemiche sono fon­date.

Ma il pres­i­dente francese non ha alter­na­tive, anche per­ché nel Sahel si è già perso troppo tempo. La minac­cia dei nuclei qaedisti nell’Africa sub-sahariana, quella immensa striscia arida che corre tra l’Oceano Atlantico e il Mar Rosso, cova da tempo, in fondo fin dagli anni ’90. Ma è cresci­uta in modo espo­nen­ziale negli ultimi anni. A mano a mano che il ter­ror­ismo jihadista ha perso i suoi caposaldi in Medio Ori­ente e nell’Asia cen­trale il grande gioco si è spostato in Africa, con lo Yemen come retro­via e snodo transcon­ti­nen­tale. La Base ha spostato le sue basi, per dirla con un facile gioco di parole. L’obiettivo è ambizioso: creare non più un enclave per la strate­gia glob­ale del terrore, ma un nuovo impero del Mali.

Il vero impero del Mali, durato oltre mille anni dal quarto al sedices­imo sec­olo, era stato il primo grande esper­i­mento di gov­erno in un con­ti­nente da sem­pre anar­chico, diviso tra prin­ci­pati, sig­nori della guerra, capi tribù. Un po’ come l’impero Moghul nel nord dell’India. Ma senza il cemento musulmano. Al con­trario, pro­prio l’espansione dell’Islam ne ha minato le basi, prima che arrivasse il colo­nial­ismo occidentale. La posizione strate­gica come cerniera tra il nord ara­biz­zato e l’Africa nera, cris­tiano e ani­mista, trib­ale, rende il Sahel di impor­tanza fon­da­men­tale. In più si aggiunge la ric­chezza del sottosuolo.

Al con­trario dell’Afghanistan, il Nord del Mali è al cen­tro di un ter­ri­to­rio in cui ci sono immense riserve di petro­lio e di gas (Alge­ria e Nige­ria), nuovi giaci­menti che sono stati scop­erti in Niger, nello stesso Mali, in Mau­ri­ta­nia. Si trova a fianco delle mag­giori ris­erve mon­di­ali di uranio del Niger che muovono le cen­trali occi­den­tali. Su queste ha messo le mani la Fran­cia con la poten­tis­sima soci­età statale Areva. In Niger ha sem­pre fatto il bello e il cat­tivo tempo, impo­nendo una sorta di mil­i­ta­riz­zazione intrin­seca alla natura della fil­iera nucleare. In questo modo ha pro­tetto i suoi interessi, ma ha assi­cu­rato a lungo una sorta di sta­bil­ità. Il Mali, last but not least, è al cen­tro del pas­sag­gio dei clan­des­tini e della droga che ven­gono verso l’Europa.

Nel 1991, il Paese è stato in grado di roves­ciare con un colpo di Stato incru­ento il regime a par­tito unico del gen­erale Moussa Tra­oré e nom­inare pres­i­dente, nelle prime elezioni libere, l’archeologo Alpha Oumar Konaré. Il Mali ha conosci­uto una certa aper­tura e forme di democrazia interna reale: patto nazionale tra Gov­erno e i movi­menti dell’Azawad, un mil­ione e 500 mila per­sone nomadi, i Tuareg, nell’aprile 1992; lib­ertà di stampa, sviluppo del tur­ismo e inves­ti­menti stranieri.

Tutti progressi che sono stati con­sol­i­dati dall’elezione di Amadou Toumani Touré, ex gen­erale e protagonista del cam­bio di regime. Con gli anni, anche Touré si è riv­e­lato un auto­crate che ha favorito la cor­ruzione, e ha incanalato delle risorse verso la cap­i­tale che assorbe il 90% di abi­tanti a danno delle regioni del nord. Ciò ha aperto la porta ai gruppi jihadisti di matrice qaedista nel Sahel. Dopo aver ottenuto la lib­er­azione di 32 occi­den­tali rapiti in Alge­ria nel 2003, Touré si era con­vinto di avere acquisito un ruolo fon­da­men­tale nei con­tatti con Aqim. E fino al 2010 anche grazie al sup­porto, in ter­mini di mezzi e uomini, da parte degli Stati Uniti e della Fran­cia, era sembrato un balu­ardo nella “lotta al terrorismo”.

Ma l’equilibrio si è rotto e il con­trollo del ter­ri­to­rio è col­las­sato con la guerra libica. Scrive Alberto Negri sul Sole 24 Ore: “Già si sapeva che la caduta di Gheddafi avrebbe spro­fondato le fron­tiere di mille chilometri: il Colonello era il guardiano del Sahel dove teneva a bada alleati e avver­sari. Fu per questo motivo che l’Algeria si oppose all’attacco con­tro il regime di Tripoli temendo un’avanzata degli islam­ici sotto il Sahara, come è pun­tual­mente avvenuto in Mali dove le milizie di Al Qaida del Maghreb (Aqmi) sono gui­date dall’algerino Belmokhtar detto il Guer­cio, una sorta di Mul­lah Omar del deserto, e Ansar Eddine risponde a Iyad Ghaly, un tuareg rig­orosa­mente islamiz­zato dopo essere stato diplo­matico in Ara­bia Sau­dita. Due terzi del Mali del Nord sono stati tale­ban­iz­zati, la mit­ica Tim­buctù viene dev­as­tata e le milizie impon­gono la legge islam­ica”. Nel novem­bre 2011, a meno di un mese dalla caduta di Gheddafi, il gruppo “Tuareg per la lib­er­azione dell’Azawad”, insieme a tutte le orga­niz­zazioni indipen­den­tiste della Regione – ”Movi­mento Nazionale Aza­wad”, “Movi­mento Popo­lare per la Lib­er­azione dell’ Aza­wad”- forte di oltre 8 mila com­bat­tenti e rin­forzato dai tuareg arruo­lati nell’esercito libico e rien­trati – si parla di 2–3 mila uomini, adde­strati e dotati di con­sid­erev­ole arma­mento – ha ripro­posto al gov­erno la richi­esta di indipen­denza del Nord, dichiaran­dosi pronto alla lotta armata. Il con­flitto, dila­gato in tutto il Nord, ha mostrato un esercito demo­ti­vato, nonos­tante la for­ni­tura di armi e adde­stra­mento da parte degli Usa, e inca­pace di contenere gli assalti dei tuareg. Stesso esercito che oggi dovrebbe dare sostanza all’intervento francese.

In questa situ­azione nasce il colpo di stato di marzo 2012, guidato dal cap­i­tano Amadou Sanogo che annun­cia l’insediamento del “Comi­tato Nazionale per il Risana­mento della Democra­zie e la Restau­razione dello Stato” e promette di resti­tuire il potere ai civili al ter­mine dell’emergenza. Il Paese si spacca in due. Si forma un’alleanza mil­itare dell’Mnla con for­mazioni jihadiste vicine ad Aqim, come “Ansar Dine”, Difesa dell’Islam. L’organizzazione armata è gui­data dal leader tuareg Iyad Ag Ghaly, già con­sole maliano in Ara­bia Sau­dita, e il gruppo Mujao, inse­di­ato a Gao, che hanno favorito l’avanzata dei ribelli. Il cen­tro di Tim­buctù è con­quis­tato da “Ansar Dine”, l’aeroporto dall’Mnla, men­tre la città diventa sede del quartier gen­erale di Aquim. A Bamako, nella base abban­do­nata dall’Esercito si installa la “Brigata Faruk”.

“Al Qaida in the Islamic Maghreb” con­trolla mil­i­tar­mente gran parte del ter­ri­to­rio gra­zie a tre coman­danti algerini: Abu Zaid, Mokhtar Belmokhtar e Yahya Abu al Ham­man. La dichiarazione di “Indipen­denza da Mali per uno Stato basato su una Cos­ti­tuzione demo­c­ra­t­ica” aggrava uno sce­nario già com­p­lesso: la Comu­nità inter­nazionale, primi fra tutti Fran­cia e Unione Africana, la ritiene nulla. Le milizie islamiste dichiarano che inten­dono esercitare la sharia nelle città con­quis­tate. I mil­i­tari golpisti invo­cano l’aiuto inter­nazionale. Gli stessi tuareg, nomadi abit­uati a vivere attra­verso le frontiere di Mali, Niger, Alge­ria, Libia e Burk­ina Faso si impeg­nano a rispettare i con­fini degli Stati, ma la Comu­nità Inter­nazionale non ci crede.

Lo scon­tro non è soltanto politico ma anche reli­gioso. A Tim­buctù ven­gono dis­sacrate impor­tanti moschee e mau­solei dove si prat­ica il culto dei santi della dot­t­rina sufi, ritenuta “empia” dai jihadisti, fino a scon­fig­gere – con l’aiuto di Aqim – i tuareg dell’Mnla ad Ansogo, a pochi chilometri da Gao, costrin­gen­doli ad abban­donare defin­i­ti­va­mente il ter­ri­to­rio dell’Azawad. Su invito del “Con­siglio per la Sicurezza e la Pace” riu­nito a luglio dall’Unione Africana ad Addis Abeba, si cerca di ottenere l’invio di una Forza mil­itare inter­nazionale per fron­teggiare i qaedisti ed evitare il loro radica­mento nel nord. La situ­azione del Mali e dei Paesi vicini spinge lo stesso pres­i­dente a chiedere l’intervento dell’Onu.

Oggi questa esca­la­tion arriva al cul­mine e diventa guerra aperta, des­ti­nata ad espan­dersi. Lon­dra ha deciso di dare alla Fran­cia sostengo logis­tico. Parigi ha chiesto a Wash­ing­ton mezzi mil­i­tari e soprat­tutto i droni, l’arma letale che Obama ha trasfor­mato nello stru­mento della sua dot­t­rina mil­itare. Ma tutto questo appare sem­pre più la con­seguenza del fatto che l’operazione in Libia è stata un coitus inter­rup­tus. Caduto Gheddafi bisog­nava tenere alla larga i jihadisti e trovare un nuovo sis­tema per garan­tire sicurezza e un certo grado di sta­bil­ità. Invece si è detto mis­sione com­pi­uta nella com­pren­si­bile voglia di uscire da un ter­ri­bile pan­tano, che copriva un’incomprensibile resa alla nuova onda di caos.

Che fare adesso? Un inter­vento inter­nazionale sotto l’egida dell’Onu è di inter­esse fon­da­men­tale. Ancor più per l’Europa e per l’Italia. Il con­trollo dell’uranio è essen­ziale per la sicurezza internazionale. Ma non solo. Da dove viene oggi l’onda migra­to­ria se non dal Sahel? Uomini disperati in fuga dalla nuova mis­e­ria e dal nuovo ter­rore. L’Italia è dis­tratta dalle elezioni. Ma sarà costretta a pren­dere coscienza di quel che sta accadendo.

(sintesi di un’analisi più ampia che si può leggere su www.cingolo.it)



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