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Vi spiego perché l’enfasi propagandistica su Fiat e Marchionne è irragionevole

Come Victor/Victoria o Giano Bifronte, scegliete voi: Sergio Marchionne è più che mai sugli altari in America, però in Europa mangia la polvere.

Il Financial Times non cessa di lodare le doti del top manager in maglioncino nero, ma il 2012 si chiude un tonfo storico della Fiat in Italia (meno 20%, il peggior risultato delle ultime tre decadi) e il continuo miglioramento delle vendite Chrysler negli Stati Uniti (in crescita per il 33esimo mese consecutivo).

Anche la Fiat 500, assemblata in Messico, dopo una partenza deludente, ha venduto 50 mila esem­plari nell’area nord americana. Un risultato incoraggiante. Marchionne ha accompagnato l’andamento del mercato, puntando tutte le sue carte sulla Chrysler, in attesa che le cose andassero meglio in Europa occidentale e in Italia.

Forse sperava in una recessione breve, ora scopre che la domanda resterà bassa per un numero consistente di anni. Ha evitato di investire e ai suoi critici, anche all’interno del governo Monti, ha sempre ricordato i cata­strofici errori degli anni ’90, quando Paolo Cantarella spese tutto quel che aveva in cassa (e anche molto di più) in nuovi modelli che non hanno funzionato se si esclude la Punto.

Ma se Marchionne ha pensato di usare il successo Chrysler come leva per rilanciare la Fiat, ha fatto male i suoi conti. Anzi, adesso la debolezza della Fiat getta una serie di interrogativi sul grande progetto di fusione che comporta l’acquisizione del restante 35% del gruppo americano in mano al fondo pensioni dei sindacati, Veba. Il Lingotto ha i quattrini? Perché con 50 miliardi di debiti, tiene 20 miliardi liquidi? Può indebitarsi ancora, con un rating da junk bond? I sindacati americani non faranno un gioco al rialzo rendendo l’acquisizione troppo costosa? E’ vero che la trasfusione tecnologica (soprattutto dei motori) ha favorito Chrysler e dissanguato Fiat? Si parla di un aumento di capitale di due miliardi di euro (voce non commentata dal Lingotto) o di vendita di Magneti Marelli (ipotesi lanciata dallo stesso Marchionne). L’ultima puntata della telenovela vede il top manager impegnarsi di nuovo sull’Italia, ma le parole abbondano, i fatti mancano, la strategia ondeggia.

Marchionne è stato un formidabile risanatore dei conti e un tagliatore di teste inflessibile, ha galvanizzato i suoi uomini e poi li ha cambiati dalla sera alla mattina, bravissimo nel market­ing e nella pubblicità (anche di se stesso), geniale nell’operazione Chrysler: comprare il terzo gruppo automobilistico americano senza sborsare un centesimo resterà nella storia (e ancor oggi sembra incredibile).

Ma la Fiat (Chrysler compresa) è ancora zoppa: in Europa pesa come un macigno la mancata acquisizione della Opel e il fallimento dell’alleanza con Peugeot (la casa tedesca e quella francese stanno pagando anch’esse molto cara la loro miopia, ma il detto mal comune mezzo gaudio non funziona nel mondo degli affari). In India il legame con Tata s’è rivelato un fallimento. In Cina la Fiat è rimasta sull’uscio e chissà se non è troppo tardi. In Russia sta cercando di recuperare, dopo aver dissipato ai tempi di Eltsin e dei suoi boiardi alla vodka, uno storico vantaggio (Togliattigrad nacque a metà degli anni ’60 grazie a Valletta, Kossighin e con il via libera di Lyndon Johnson, una operazione di mercato e di politica estera allo stesso tempo).

Questo 2013 dovrebbe essere l’anno che prepara la grande svolta, la trasformazione della Fiat in un gruppo davvero globale, prendendo atto che la vecchia madre patria è ormai una provincia e non tra le più importanti (esatta mente come accadde per l’Italia durante l’impero romano). Ma per raggiungere questo obiettivo non basterà fondersi con Chrysler: bisogna fissare la gamba europea e mettere finalmente un piede in Asia.

(sintesi di un’analisi più ampia che si può leggere su www.cingolo.it)



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