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Le tre follie del Redditometro

Grazie all’autorizzazione dell’editore e dell’autore, pubblichiamo il commento del condirettore di Italia Oggi, Marino Longoni, uscito oggi sul quotidiano diretto da Pierluigi Magnaschi

Il Redditometro assomiglia sempre più a uno studio di settore per famiglie. Con tutti i limiti che questo tipo di accertamento dei redditi si trascina dietro. Limiti che hanno portato in sostanza a mettere da parte gli studi di settore nell’accertamento del reddito d’impresa, ma risulteranno ancora più evidenti nell’applicazione di metodologie statistiche in un ambito, quello familiare appunto, dove le variabili sono infinitamente più numerose e difficili da normare rispetto alla realtà d’impresa.

Il regolamento sul Redditometro pubblicato nei giorni scorsi presenta anche alcune vistose anomalie. Da una parte prevede che su certe spese si utilizzi il maggior valore tra la spesa effettivamente sostenuta, così come risultante negli archivi dell’anagrafe tributaria, e la spesa media per quel tipo di bene. Così se io per il mio cane dovrei spendere 100 euro l’anno, ma in realtà ho speso solo 20 euro, perché il veterinario è mio amico, il Redditometro considererà valido il primo valore e non il secondo. E toccherà a me dimostrare il contrario. Roba da matti. Anche perché un conto è dimostrare una spesa sostenuta, un altro conto è dimostrare una spesa non sostenuta. Bisognerà citare il cane come testimone?

Altra incongruenza. In una famiglia monoreddito, il reddito presunto in capo a ciascuno dei familiari è ripartito in base al rapporto tra le spese sostenute da ciascuno dei componenti così come risulta dai dati in possesso dell’anagrafe tributaria (che saranno sempre solo una parte delle spese totali). Quindi la nonnina che ha bisogno della badante si vedrà attribuita la gran parte del reddito e sarà accertata sulla base di questi dati? Infine, se gran parte del mio reddito lo spendo in sesso, droga e rock and roll, probabilmente il redditometro non si accorgerà di nulla. Se invece conduco una vita monacale e lascio in banca la metà dello stipendio o della pensione diventerò molto facilmente un presunto evasore.

Scherzi a parte, questo redditometro sembra fin troppo facile da aggirare per chi sa di non essere in regola con il fisco. Ma finirà per attirare nella sua rete moltissimi contribuenti onesti che hanno il solo torto di avere tipologie di spesa personale o familiare diverse dalle medie dell’Istat. Con esiti paradossali: come farà il lavoratore dipendente a provare che nel 2009 non usciva a pranzo con i colleghi ma si portava un panino da casa?

Una cosa però si è capita. Il redditest, cioè il software per il calcolo del proprio reddito presunto, diffuso nel mese di novembre dalla stessa Agenzia delle entrate era solo un giocattolo, che poco ha da spartire con i risultati che usciranno applicando i parametri (ancora misteriosi) del redditometro. Si è trattato, in sostanza di un’operazione di marketing fiscale, un modo per far sentire ai cittadini il fiato sul collo dell’Agenzia delle entrate. Speriamo solo che tra redditometro e redditest non si finisca per convincere il contribuente che, alla fin fine, il colore più elegante resta sempre il nero.



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