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Perché i liberali Monti, Giannino e Pannella non si alleano?

Domanda. Se similis cum similibus, perché i liberali dovrebbero perdere l’ennesima occasione storica di stare coi liberali, avendo perfino una qualche chance di condizionare il futuro governo del Paese?

Dunque perché Monti, Giannino e Pannella, dovrebbero tentare l’argine al social-populismo da sponde opposte di un fiume su cui vedrebbero passare soltanto il cadavere dell’ennesima opportunità sprecata?

Nei giorni appena trascorsi, la “salita” in campo di Mario Monti ha innescato un processo politico che “rischia” di aprire un’area di rappresentanza e consenso reale da cui sarebbero esclusi quei pezzi di offerta politica più capaci di interpretarne spirito e forme.

Finché la decisione di stare ai margini di questa iniziativa poteva essere imputabile alla ritrosia protestataria di Fermare il Declino, o al velleitarismo di scopo della Lista per l’Amnistia avanzata da Pannella, era un conto.

Essendo però nel frattempo venute meno le ragioni ostative ad un apparentamento politico tra i “montiani ufficiali” e i liberali e libertari extra sistemici, cerco, e non trovo, ragioni per cui questo matrimonio non s’abbia da fare.

La settimana scorsa Oscar Giannino ha cercato un’interlocuzione con Mario Monti al fine di discutere un eventuale ingresso in coalizione per le imminenti politiche. Al tentativo non ha corrisposto alcun seguito, ma di suo segnalava l’intenzione del giornalista –  e del movimento che rappresenta – di lavorare con Monti e alla sua agenda di governo a dispetto di alcuni “montiani”, che pure avevano costituito il bersaglio polemico di larga parte di FiD nonché il principale argomento per stare alla larga dall’esperienza politica inaugurata dal premier. La mossa, a mio giudizio, era apprezzabile e intelligente, e meriterebbe miglior destino che l’indifferenza per risposta. La convenienza elettorale, poi, sarebbe per entrambe le parti, perché se è vero che FiD si avvantaggerebbe dell’abbassamento di soglia per concorrere al riparto dei seggi, dall’altro Mario Monti troverebbe spinta e spunti ottimi e coerenti con l’agenda politica dell’area che sta tenendo a battesimo, oltre che un addendo elettorale non disprezzabile, se è vero che FiD, come alcuni sondaggi attestano, varrebbe intorno al 2 per cento.

Ma, sopra tutto, non avrebbe senso né ragione immolare un’occasione di unità sull’altare di una sfumatura interna alla cultura liberale – quella tra il modello Beveridge, o se volete brussellese, incarnata dal professore, e quella più chicagoan che ispira invece larga parte dell’intellighenzia FiD, mentre tutt’intorno nella politica italiana si rincorrono e si aggregano populismi di segno contrario che hanno però in comune il fine di nascondere, negare o rovesciare la realtà.

E poi Monti – durante la conferenza stampa del 23 dicembre scorso – aveva dichiarato di voler aggregare pezzi di società civile che non fossero limitati alla compagine oggi organizzata dentro la lista Scelta Civica. Ora che FiD ha dismesso i toni settari dell’invettiva – forse perché ha compreso che certe battaglie di rinnovamento riescono meglio con una ventina di parlamentari eletti – non vedo niente di ulteriormente “civico” – fuori dalla coalizione – che sia più compatibile col programma di riforme per l’Italia e l’Europa patrocinato dal professore.

Per quanto riguarda i Radicali, le premesse sono un po’ diverse benché analoghe le conseguenze. Sono il partito con la migliore tradizione riformatrice che l’Italia conosca, e che continua a produrre il migliore e più professionalizzato ceto politico che ci sia in circolazione. Aprire la porta anche a loro e alle loro “istanze paese” – a condizione che rifuggano però la tentazione di confinarle nella listarella di scopo sull’amnistia – non costerebbe, anzi. L’Italia viola i diritti dei detenuti. Monti vuole lavorarci, Pannella vuole lavorarci, perché non insieme nell’ambito di un progetto più ampio?

I contrassegni e le dichiarazioni di collegamento vanno depositati entro il 13 gennaio. In quattro giorni l’Italia si gioca la chance di avere un Parlamento di qualità migliore e più adatto alla sfida degli anni a venire. Ancora una volta, dipende da Monti.

 

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