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Mussari? L’occasione che l’Abi non coglierà

Le dimissioni del presidente Giuseppe Mussari, causate dalle rivelazioni su operazioni effettuate durante la sua gestione di presidente del Monte dei Paschi, sono un episodio non soltanto dovuto, ma grave se si pensa che la rielezione alla presidenza Abi dell’avvocato Mussari è avvenuta in tempi recenti, con l’endorsement delle principali banche italiane, nonostante voci e perplessità sulla gestione Mps fossero già di dominio pubblico.

Tuttavia queste dimissioni potrebbero trasformarsi in una grande occasione di rinnovamento della potente associazione bancaria italiana, se non si limiterà a scegliere un nuovo presidente. Abi dovrebbe mettere in discussione il proprio ruolo e la linea di azione nel contesto della situazione del Paese, prendere coscienza del fallimento di una politica di comunicazione perdente e costosa. Il pensiero va alle iniziative di PattiChiari, prossime ad essere smantellate per non essere riuscite a modificare nell’opinione dei cittadini e delle imprese la percezione di scarsa trasparenza, di servizi poveri e di un processo di credito lento ed eccessivamente burocratico. La linea di comunicazione sul credito alle imprese è stata ugualmente sbagliata negando per troppi mesi una stretta poi certificata nei numeri dalla Banca d’Italia (il calo del credito), nei bilanci delle banche e nelle stesse dichiarazioni dei vertici bancari sull’utilizzo dei fondi prelevati dalla Bce all’1%. Abi avrebbe potuto invece spendersi per spiegare a un milione e mezzo di imprese le nuove regole di accesso al credito, valorizzare i progetti di collaborazione con il mondo delle professioni per il passaggio a un credito ‘intelligente’ e rivolto al futuro, lavorare in profondità sulla riforma della legge fallimentare e su nuovi protocolli bancari di gestione delle crisi, nell’interesse delle stesse banche che oggi operano disordinatamente su decine di migliaia di tavoli di ristrutturazione.

Se la discussione all’interno dell’associazione si limiterà alla scelta del nuovo presidente tra le potenti grandi banche e i candidati sconosciuti delle piccole banche l’Associazione non avrà saputo guardare a un ruolo futuro di traino economico del sistema imprese che deve svolgere quest’anno e nel 2014 a sostegno della fragile ripresa indicata dal ministro Vittorio Grilli e dai principali centri di ricerca. Continuerà a firmare manifesti per le imprese e per la crescita senza portare idee, soluzioni, innovazione -come ha fatto in due occasioni- pur avendo al proprio interno la capacità di mettersi in gioco su questioni critiche come i pagamenti della Pa, il credito per le filiere (si veda la recente iniziativa Gucci-Intesa SanPaolo sulla filiera della pelletteria), la ricapitalizzazione delle imprese.

E’ tempo che Abi cambi tattica di gioco, smantellando il ‘catenaccio’ contro un’opinione pubblica che trova nelle banche un facile bersaglio per sfogare la propria rabbia civile. Per farlo deve avere coraggio nel cambiare persone, immagine e linguaggio passando all’attacco e valorizzando il meglio del sistema bancario (e ci sono cose di valore poco note), partecipare più attivamente alle riforme, anche quelle del credito. Deve cessare di nascondersi dietro l’alibi delle troppe sofferenze o dei miliardi di moratoria concessi a famiglie e imprese, perché l’Abi stessa sa bene che quelle decisioni hanno beneficiato più i bilanci delle banche che la capacità di ristrutturazione delle imprese.

Di fronte a questa scelta coraggiosa di cambiamento e di rinnovamento, di fronte a questa unica opportunità di cambiare la propria storia, appena dopo avere commesso l’errore di rieleggere un portabandiera sbagliato, credo che mancherà ancora una volta il coraggio e che ABI sceglierà la continuità nel ruolo di lobby degli associati per contrastare le imposte e gli eccessi di regolamentazione.

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