Siamo all’ultimo capitolo degli sforzi congiunti di Washington e Kabul per dare sicurezza e sovranità all’Afghanistan. La definizione è del segretario alla Difesa uscente, Leon Panetta, che ha accolto l’arrivo al Pentagono del presidente afgano Hamid Karzai prima dell’incontro odierno con Barack Obama.
Il viaggio, sottolinea la Bbc, giunge in un momento cruciale nelle relazioni dei due Paesi mentre ci si prepara al ritiro delle truppe internazionali nel 2014. La visita di Karzai segue una serie di attacchi di militari afgani contro i soldati del contingente Nato Isaf e in un anno caratterizzato da esplosioni di violenza e proteste per comportamenti considerati blasfemi o oltraggiosi di truppe Usa.
Il 2012 è stato anche l’anno del primo memorandum sul trasferimento agli afgani delle responsabilità dei detenuti a Bagram (sebbene non del tutto chiarito), della firma di un secondo memorandum che affida a Kabul le decisioni e la gestione di raid notturni e infine del partenariato strategico tra i due governi.
Come sottolinea il New York Times, rimangono frizioni. Da parte statunitense c’è diffidenza sulla figura di Karzai. A Kabul si teme che l’interesse per il Paese sia legato soltanto alle necessità statunitensi nell’area.
La questione truppe sarà al centro della visita di Karzai. Gli Stati Uniti hanno al momento 66mila soldati in Afghanistan. Le opzioni per il ritiro ipotizzano di lasciare sul campo tra i 3mila e i 9mila militari una volta dichiarata la fine della missione. Nei giorni scorsi è tuttavia circolata anche la cosiddetta “opzione zero”, ossia un ritiro completo. Ipotesi quest’ultima che Benjamin Rhodes, vice-consigliere per la sicurezza nazionale di Obama, tende a non escludere.
L’incontro sarà anche il primo dalla rielezione di Obama a un secondo mandato e dalla nomina di nuove figure al vertice dei dipartimenti della Difesa, con Chuck Hagel che prenderà il posto di Panetta, e degli Esteri affidato a John Kerry.
Scrive Emanuele Giordana, osservatore della situazione afgana, che sull’uscita Obama, Kerry e Hagel sono d’accordo: “incalzare l’exit strategy del presidente per scalare l’impegno militare ed evitare di rimanere inguaiati nel pantano afgano”.
Soluzione che lascia irrisolte alcune domande: “Come la metteranno con le basi americane, la scelta del numero degli uomini da lasciare di guardia, il diritto all’impunità per i soldati ed extraterritorialità per le basi? I nodi sono ancora tanti anche dopo il 2014”.