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Patrimoniale? Meglio un prestito “spintaneo”

Nell’estate del 2007, in appendice a un libro che stavo terminando, scrissi un capitolo che si intitolava “Ripatrimonializziamo la società” (chi fosse interessato, trova il libro “Gli accaparratori” in formato Pdf liberamente scaricabile qui: http://www.ilfoglietto.it/animations_prod/home.php). Il succo di quel capitolo era che per il nostro Paese era sostanzialmente impossibile rientrare dal debito usando la logica dell’avanzo primario. Servivano, pensavo all’epoca, misure straordinarie.

Sei anni dopo sono cambiate alcune cose:

1) Lo stock di debito pubblico accumulato era di circa 1.600 miliardi di euro nel 2007 (circa il 106% del Pil). Oggi abbiamo superato i 2.000 (120% del Pil, più o meno);

2) All’epoca la parola patrimoniale era totalmente (o quasi) assente dal dibattito pubblico. Oggi se fate una ricerca su Google news vengono fuori centinaia di record e sono state elaborate decine di proposte per operazioni straordinarie per abbattere il debito;

3) il nuovo governo qualcosa dovrà fare, visto i vincoli stringenti che si impone il fiscal compact e l’ineludibilità di alcune riforme strutturali, che inevitabilmente costano.

In questi sei anni sono cambiate tante cose e non sono più convinto che, stante il contesto attuale, la patrimoniale sia ancora un’idea valida. Non almeno nelle forme classiche alle quali si pensa di solito. L’idea che mi sono fatta è che sia più utile, e meno conflittuale dal punto di vista sociale, mobilitare la corposa quota di risparmio privato che ancora esiste in Italia per indirizzarlo verso progetti specifici, senza che però che i risparmiatori siano vessati, ma anzi premiati. Un prestito allo Stato che sia spontaneo e non obbligato. Al limite ”spintaneo”.

In sostanza, dovremmo farci dei project bond nostrani.

Prima di spiegare meglio cosa intendo, serve una premessa. In tempi in cui la pressione fiscale è alta com’è adesso da noi, credo sia più razionale dal punto di vista economico per il singolo individuo puntare non su maggiori ricavi (che vengono ipertassati), ma su meno spese (quindi meno tasse, grazie ad esempio a uno sgravio). Quindi se il governo mi propone un titolo di stato a un tasso basso, mettiamo equivalente al tasso di sconto, ma mi compensa lo spread fra il mio rendimento e quello di un titolo di stato normale con uno sgravio fiscale almeno equivalente che valga per l’intera durata dell’obbligazione, come investitore non ci perdo nulla. Anziché incassare un cedola mettiamo di cento euro (sulla quale peraltro pago una ritenuta), ne incasso una di 30, e godo di una deduzione fiscale di 70. Finisce pure che ci guadagno.

Al di là dell’esempio, che è tecnicamente semplicistico, quel che conta è il principio. La domanda che dobbiamo porci è: se lo Stato mi proponesse uno scambio che prevede meno tasse (e quindi più reddito disponibile in tasca per me) in cambio di un prestito a lungo termine, accetterei o no?

Personalmente me la sono posta qualche giorno fa, quando mi sono trovato a decidere cosa fare del misero gruzzoletto che tengo da conto per le emergenze, e che quindi voglio solo difendere dall’inflazione avendo smesso da tempo di pensare che possa crescere. Apro il solito conto deposito? Mi compro un Bot o un Btp? O magari un Bund? I tassi sono in calo, e quindi è già difficile riuscire a recuperare il potere d’acquisto che si perde ogni anno. Se potessi impiegarlo in qualcosa di utile per il Paese (che non sia alimentare semplicemente il Moloch della Spesa Pubblica), che magari mi consente di pagare meno tasse ogni mese, e quindi avere qualche euro in più per i consumi, credo che ci penserei sopra molto accuratamente.

Faccio due esempi. Nei mesi scorsi sono finite sul tappeto un paio di questioni sociali di peso, per le quali si stenta a trovare una soluzione. La questione degli esodati e quella della riforma del mercato del lavoro. La prima ha richiesto, e richiederà in futuro, risorse ingenti per essere risolta. La seconda pure di più. Quando il Parlamento provò a riesumare le pensioni di anzianità, lo ricorderete, con un emendamento in commissione, la Ragioneria dello Stato fece due conti e bloccò il tutto: servivano almeno 10 miliardi per cominciare. Per capire quanto potrebbe costare la riforma del lavoro, guardiamo al caso tedesco. Fra il 2000 e il 2005 la Germania, ha visto crescere il suo debito sul Pil dell’8,3%. gli economisti calcolano che la Germania abbia speso circa 90 miliardi di euro (da qui l’aumento del debito) per politiche attive di sostegno nei confronti delle imprese e del lavoro. In pratica la Germania ha finanziato a debito la famosa flexsecurity, che poi le ha consentito, nel giro di pochi anni, di avere un mercato del lavoro efficiente e un sistema produttivo assai più performante di prima, con grande giovamento per l’export.

Torniamo a noi. Se il governo proponesse dei project bond alle condizioni che ho detto prima per finanziare una revisione della riforma delle pensioni e del mercato del lavoro, sareste interessati a considerare la proposta? Probabilmente tale domanda se la porrebbero anche molti pensionandi, o molti lavoratori che magari pure loro, come il sottoscritto, hanno qualche miseria da parte per le emergenze e non sanno più cosa farne. Magari l’idea di investire su qualcosa che li riguarda potrebbe persino interessargli. E potrebbe anche interessare gli imprenditori, e persino quei ricchi che molti esecrano ma che probabilmente sono meno cattivi di quanto si pensi, purché non li si spinga a fuggire in Svizzera (visto che sono gli unici che possono permetterselo).

Ovvio che quest’idea ha come premessa che lo Stato si comporti seriamente. Che i soldi raccolti finiscano in un capitolo di bilancio creato alla bisogna e non nel mare (magna) magnum del bilancio pubblico.

Ovvia anche un’altra cosa, per creare i nostri project bond serve un’inversione culturale. Capire che lo scopo dell’investimento non è il massimo profitto, ma la massima utilità (e non sempre le due cose coincidono). Swappare tasse e prestiti per finanziare il debito segnerebbe un’evoluzione nel nostro comportamento economico credo senza precedenti.

Una volta tanto potremmo dar prova di quella qualità che molti ci riconoscono, ma che scarseggia nel dibattito politico: la fantasia.

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