Perché Monti tace mentre sul caso di Montepaschi si è scatenato il pandemonio ed è iniziato un fuoco di fila di accuse reciproche? Monti è in una posizione scomoda – paradossalmente, la sua posizione è anche più scomoda di quella di Bersani, leader del Pd – perché veste i duplici panni di premier in carica e uscente e di leader di una delle formazioni politiche in corsa. Come verrebbero interpretate le sue dichiarazioni dai mercati? E – ancora più importante – come verrebbero usate le sue affermazioni e quelle dei suoi fidati, che rischiano di essere bollati come ventriloqui?
In ballo dopotutto non c’è solo Siena e il suo coté politico-bancario, ma qualcosa di molto più grande: l’intera architettura finanziaria italiana, che è una struttura molto chiusa, a forma anulare. Ricordiamoci pur sempre che per i politici italiani la prossimità alle fondazioni sia un aspetto decisivo, perché da queste passa il controllo sulle principali banche italiane e, tramite una pax bancaria, la possibilità di influire pesantemente sulle vicende del nostro bancocentrico Paese e sostenerne le emissioni di debito. Questa architettura, che ad alcuni piace e ad altri no, è in piedi dai primi anni ’90 e nel corso dell’ultimo biennio ha evidenziato crepe profonde. La crisi ha piombato i conti delle partecipate delle fondazioni, svuotandone le tasche a suon di svalutazioni e compromettendone la capacità di intervento. Gli sviluppi della vicenda Montepaschi, dunque, saranno importanti, forse decisivi, per capire le soluzioni che scaturiranno dall’intreccio tra politica, banche e fondazioni e valutare il grado di “resilienza della pax bancaria.