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Putin scarica Assad

Anche la Russia prende le distanze da Bashar al Assad, mentre in Israele crescono le preoccupazioni sugli arsenali chimici, e in Siria si continua a morire in violenti scontri tra ribelli e governativi che sono tornati a lambire il centro di Damasco.

“Ogni giorno che passa, ogni settimana, ogni mese, le possibilità che resti al potere diventano sempre più scarse”, ha detto oggi di Assad il premier russo Dmitri Medvedev in una intervista alla Cnn: Assad “avrebbe dovuto agire molto più rapidamente e invitare l’opposizione pacifica che era pronta a sedersi al tavolo dei negoziati con lui. E’ stato un grave errore da parte sua, forse fatale”, ha detto. Un’affermazione che pesa come un macigno, visto che la Russia è il principale alleato, dopo l’Iran, del regime siriano, e che si connota di toni cupi: Medvedev rispondeva infatti alla domanda se il presidente siriano sopravviverà alla crisi, non solo se riuscirà a mantenere il suo potere. Il premier russo ha peraltro ribadito che la crisi siriana non deve essere risolta da un intervento straniero, perché “sta al popolo siriano decidere”.

Sul campo continuano le violente battaglie in tutto il Paese, oltre 85 i morti oggi tra i quali almeno 11 bambini, con gli attivisti anti-regime che sono tornati a denunciare l’utilizzo di bombe a frammentazione e fosforo bianco da parte delle forze governative. Ma sono gli arsenali chimici a destare in questi mesi le maggiori preoccupazioni: il tema è stato al centro nei giorni scorsi di una riunione straordinaria dei responsabili israeliani, i quali temono che queste armi finiscano nelle mani delle formazioni jihadiste sempre più forti tra i ribelli siriani o peggio in quelle degli Hezbollah libanesi. “Dobbiamo essere vigili e forti”, ha detto il premier israeliano Benyamin Netanyahu, convinto che la Siria è un Paese che “va spaccandosi”. Il vicepremier Silvan Shalom è stato ancora più chiaro: se le armi chimiche finissero in mani nemiche, Israele è pronta ad azioni militari.

In questo quadro, secondo i media israeliani, l’Esercito ha dislocato batterie di difesa anti-missile “Iron Dome” (Cupola di ferro) nel nord – in particolare nella zona di Haifa -, nella regione più vicina al confine siriano e libanese. I militari confermano ma precisano che l’attivazione dei sistemi di difesa nel nord “era prevista da tempo e non è legata alla crisi in Siria”. Il sistema di sicurezza è stato del resto già rafforzato sulle Alture del Golan, dove nei giorni scorsi Netanyahu ha compiuto un sopralluogo.

Intanto, i combattimenti sono tornati a lambire Damasco: scontri si segnalano da ieri nelle strade del centro, mentre le autorità sono state costrette a chiudere l’autostrada verso Daraa (sud) per un attacco dei ribelli nel sobborgo meridionale di Qadam. Altri combattimenti sono stati segnalati intorno ai checkpoint sul monte Qasiun, che sovrasta la capitale. E un’autobomba ha fatto tremare i palazzi pure nella zona di Tishreen, dove sorge il palazzo presidenziale.

Ansa

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