La crisi algerina potrebbe costare all’Italia un miliardo di euro in più all’anno per la fornitura di energia, pari a circa 2,7 milioni al giorno di maggior costo dell’elettricità per sostituire il gas algerino. A calcolarlo è uno studio di Althesys, la società di consulenza strategica nel campo energetico ed ambientale guidata dal bocconiano Alessandro Marangoni, per il quale “l’instabilità in Algeria riporta in primo piano la fragilità del nostro Paese nell’approvvigionamento di gas”. Una dipendenza dall’estero, quella italiana, che – spiega Marangoni – aumenterà con il Galsi (il progetto del gasdotto che unisce nord Africa e Sardegna).
L’analisi riporta alla memoria scenari critici già visti: “Torna lo spettro della crisi tra Russia e Ucraina del 2009. Nonostante siano passati più di quattro anni, e i consumi di metano siano scesi sensibilmente, la strategia italiana per la fornitura di gas non è migliorata molto”. Per l’esperto “continuiamo infatti a basarci su poche infrastrutture dipendenti da Paesi ad alto rischio geopolitico: l’unica novità è il rigassificatore di Rovigo, che vale circa il 10% dei nostri consumi (coperti al 90% dalle importazioni)”. Insomma se le forniture dall’Algeria dovessero scarseggiare, o peggio arrivare a bloccarsi, le alternative sarebbero limitate agli altri gasdotti; in particolare quelli con la Russia, che continua a rappresentare una quota molto importante.
A fare i conti in tasca al nostro mix energetico, ci si accorge che le importazioni di gas algerino coprono circa un terzo dei consumi italiani, ossia il 32,6% delle importazioni totali pari a 22,952 miliardi di metri cubi l’anno nel 2011. Pari a circa 8 miliardi di euro al prezzo medio sul mercato libero del gas. Alla luce di questo quadro, qualora si dovesse verificare un’interruzione della fornitura dall’Algeria – dicono gli esperti di Althesys – “gli effetti sull’economia italiana e sulla bolletta sarebbero ingenti”.
Con la crisi in Algeria, entrando nello specifico dei numeri studiati ed elaborati dal team di Althesys, limitandosi ai soli effetti sulla produzione elettrica (circa il 42% da gas nel 2011) il rischio di maggior costo può essere stimato in 989 milioni di euro l’anno. Ora, ipotizzando di sostituire in emergenza la produzione a gas con quella a olio combustibile, come già avvenuto con la crisi del gas russo, si avrebbe un sensibile aumento del costo di produzione del chilowattora. Secondo gli esperti il calcolo si basa sull’ipotesi che la mancanza del gas algerino impatti uniformemente su tutti i settori (elettricità, industria, utenze civili) e che quindi richieda di sostituire con l’olio circa un terzo della generazione elettrica da gas. La cosa arriverebbe ad avere un costo di 2,7 milioni di euro al giorno. Insomma, dalla crisi russa molte cose sono cambiate (calo dei consumi, avvento dello shale gas, e debutto del terminal di Rovigo), ma la mappa dei rischi nell’approvvigionamento energetico italiano non ha subito modificazioni tali da garantire sicurezza di approvvigionamento.
E per il futuro la situazione potrebbe anche peggiorare: “Il progetto Galsi – avverte Marangoni – e cioè il gasdotto che unisce il nord Africa alla Sardegna, aumenterà di altri 8 miliardi di metri cubi l’anno le importazioni dall’Algeria, portando così la nostra dipendenza dal 29,5% a quasi il 40%”. Per il capo della struttura di ricerca di Althesys il problema è che “nonostante i buoni propositi la politica energetica italiana sembra ignorare un elemento chiave, quello del fuel risk”. Eppure, la soluzione per Marangoni non è poi così impossibile da attuare: “E’ necessario che anche l’Italia pensi a diversificare in breve tempo il proprio mix energetico, sia in termini di provenienza, sia di fonti”.